L'ingiusta tassa sui telefonini

di Gloria Canestrini

Questa settimana prendo spunto dalla telefonata di un'amica, che mi chiede informazioni sul suo contratto di telefonia mobile. L'abbonamento per il suo cellulare è ad uso privato: suo marito è anche titolare di un abbonamento per uso affari, avendo lui una società. La mia interlocutrice ha sentito dire che potrebbe esserci un rimborso relativo al pagamento della tassa di concessione governativa, una delle voci contabilizzate in fattura sia dal suo gestore, che da quello del marito. Già: ma quale dei due contratti, mi chiede, potrà essere, per così dire, “impugnato”? Il suo o quello del marito? Dipende anche dal tipo di gestore?
Le do la buona notizia: sia lei che il marito  potranno chiedere il rimborso di quanto versato negli ultimi tre anni, a prescindere dall'uso del cellulare e qualunque operatore essi abbiano. Questo perché la tassa di concessione  di cui stiamo parlando è illegittima.
Ben 14 milioni di italiani, infatti, titolari di abbonamenti per i loro cellulari (sia ad uso privato che per uso affari) pagano da anni una tassa incomprensibile, ma ben chiara in ogni fattura, alla voce “Riepilogo”: si tratta, appunto, della “Tassa di Concessione Governativa”. Questa tassa era originariamente diretta alle società telefoniche, che dovevano pagarla per l'utilizzo delle frequenze. In seguito, il Governo stabilì che il tributo dovesse essere versato da tutti i titolari di un contratto di abbonamento, poiché il cellulare era reputato “bene di lusso”.
Come spesso accade, è bastato un ricorso per cambiare le cose: la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza n.5 del 10 gennaio 2011, non solo ha riconosciuto che con l'entrata in vigore del Nuovo Codice delle Telecomunicazioni non è più prevista questa tassa, ma ne ha addirittura sancito l'illegittimità. Sottolineando che, in un mercato dominato dalle regole della liberalizzazione, un siffatto tributo è anche anacronistico!
Passiamo, in concreto, al da farsi. La mia amica non si accontenta certo dei miei enunciati di principio: vuole anche sapere come agire per riavere indietro i suoi soldi. E quanti.
E' presto detto. In genere, l'importo mensile relativo alla contribuzione in parola è di euro 5,16 per i privati cittadini, e di 12,91 euro se per uso affari. Il calcolo, quindi è semplicissimo: basta moltiplicare questi importi per 36, ossia per i mesi corrispondenti ai tre anni indicati come soglia massima  per il calcolo del rimborso. Questo, si intende, per i contratti pari o superiori ai tre anni: ovviamente, se il contratto di abbonamento è di durata inferiore, l'utente moltiplicherà la tassa per il numero di mesi effettivo.
Fatto un rapido calcolo, la mia amica potrà ottenere la restituzione fino a 185 euro; mentre suo marito ben 465 euro, visto che ha una società. Vale la pena muoversi per la restituzione dell'indebito! Come? Fornisco volentieri anche quest'ultima informazione, che spero mi varrà una cena dalla coppia, rinomata ai fornelli. La prima cosa da fare è un'istanza, la classica lettera raccomandata, indicando con precisione gli estremi dei contratti e gli importi rfichiesti. In caso di diniego o di silenzio sull'istanza, ciascun titolare di abbonamento al cellulare dovrà presentare un ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale ( se crede, scaricando un fac-simile da uno dei siti delle Associazioni dei Consumatori). Il ricorso può essere presentato anche personalmente, senza il bisogno di un avvocato. Chi ne ha voglia, potrà invece aderire ad un'azione collettiva, o class- action, informandosi quale delle Associazioni ne abbia una in cantiere, in questa materia. Come aderire alle azioni collettive? Ne parleremo presto.

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