La cucina trentina e l'eccesso di sale

L 'abitudine a far uso abbondante di sale nei cibi è tipica della cultura trentina, ed è forse legata al fatto che si tratta di una cucina povera. Non disponendo di grande varietà di pietanze, e soprattutto di aromi e spezie che potessero esaltarne i sapori, i trentini si sono accontentati nei secoli di salare il magro menù che passava il convento. La cucina trentina, infatti, si basa essenzialmente su pane e patate, cibi poco costosi ma anche dai sapori non particolarmente brillanti

di Pierangelo Giovanetti

Caro direttore, da un anno per motivi di lavoro passo circa una settimana al mese a Trento. Frequentando molti vostri ristoranti mi sono accorto che quasi tutti eccedono nel sale. Pensavo si trattasse di un problema di un singolo ristorante ma poi le nottate a bere acqua si sono susseguite e quindi, dopo un anno di frequentazioni diversificate, sono arrivato alla conclusione che si tratta di una consolidata abitudine culinaria del Trentino. Forse c'era un problema di conservazione dei cibi che si è tramandata fino oggi. Chissà. Comunque è oggi ampiamente dimostrato che il sale non fa bene alle arterie e il suo eccesso a lungo andare può provocare anche patologie tumorali. Come giornale potreste intraprendere una campagna per uno uso contenuto del sale nei cibi. Sarebbe un'opera meritoria. Anzi dovreste stimolare anche la Provincia per una campagna per la corretta cottura dei cibi. Filippo Queirolo
L 'abitudine a far uso abbondante di sale nei cibi è tipica della cultura trentina, ed è forse legata al fatto che si tratta di una cucina povera. Non disponendo di grande varietà di pietanze, e soprattutto di aromi e spezie che potessero esaltarne i sapori, i trentini si sono accontentati nei secoli di salare il magro menù che passava il convento. La cucina trentina, infatti, si basa essenzialmente su pane e patate, cibi poco costosi ma anche dai sapori non particolarmente brillanti. Così è consuetudine osservare nelle case, soprattutto in chi ha una certa età, come primo atto del commensale la generosa libagione di sale nella minestra, già riccamente salata in cucina. Probabilmente tale pratica, assai dannosa alla salute e fonte certa - fra le varie cose - di ipertensione garantita, si è tramandata dai focolari domestici alle più sviluppate cucine dei ristoranti anche se, in teoria, dovrebbe essere prerogativa semmai più di trattorie a conduzione familiare che di veri e propri ristoranti. Certamente i ristoranti stellati non ammettono l'uso sconsiderato di cloruro di sodio nelle vivande. È resta comunque un errore, perché l'eccesso di salatura cancella i sapori autentici dei cibi, e fa male alla salute come acclarato da tutti i dietologi del mondo. Purtroppo le routine comportamentali inveterate si cambiano lentamente. E così sarà per l'uso (o per meglio dire l'abuso) nel sale nei cibi. Già le giovani generazioni ne utilizzano di norma assai meno. Del resto è stato così anche per il pesce. Fino a quarant'anni fa, l'unico pesce che finiva sulle tavole trentine era la trota e, magari in quaresima, il baccalà. I più «lanciati» si concedevano talvolta del persico pescato nei laghi trentini. Ma il menù di pesce dei trentini finiva lì. Oggi invece anche le delizie della varietà gastronomica del pesce hanno conquistato il palato dei trentini, e nei ristoranti regionali è ormai sempre più frequente offerto (e spesso cucinato anche molto bene), a fianco di canederli e fasoi ‘n bronzon. p.giovanetti@ladige.it

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