Centrali nucleari e sovranità popolare

di Zenone Sovilla

Uno dei terreni che mettono a nudo il deficit democratico italiano è la produzione di energia. Si potrebbe parlare a lungo di molti aspetti di questa criticità, dalle modalità dello sfruttamento idrico (giusto per pensare ai nostri monti) ai grandi impianti termoelettrici, in generale al perpetuarsi di un obsoleto (ma per alcuni redditizio) modello centralista.
Ci occuperemo in un'altra occasione delle architetture democratiche di un approvvigionamento elettrico e più in generale di modelli energetici alternativi basati sulla massima ramificazione e autosufficienza territoriale e sulla consapevolezza popolare in fatto di prodozuione e di efficienza.
Parliamo, piuttosto, di un tema più circoscritto che, purtroppo, è tornato all'improvviso in testa all'agenda nazionale: il ritorno al nucleare.
Cominciamo dal vizio di fondo di questa faccenda: una materia sulla quale oltre vent'anni fa si era espresso il popolo mediante una consultazione referendaria oggi viene trattata da un governo (e dal Parlamento che lo sostiene) come se fosse di sua esclusiva disponibilità; nessuno "scrupolo" democratico. Il che è tanto più grave se si considera che i sondaggi fotografano un Paese ancora tendenzialmente contrario, anche se sull'onda della propaganda spudorata degli ultimi mesi, in qualche rilevazione emerge un'opinione pubblica più o meno spaccata a metà; tuttavia sono sempre una piccola minoranza quelli che si dicono favorevoli a ospitare gli impianti sul proprio territorio (il che dovrebbe spiegare perché si tace sui siti individuati per le centrali e per i depositi delle scorie radioattive; se ne parlerà probabilmente a urne regionali chiuse... ).
Va detto, fra parentesi, che a fronte di due anni di bombardamento mediatico da parte del governo di centrodestra, si sono levate voci flebili e stanca per contrastare questo tentativo di confondere le idee per far passare il falso messaggio che nucleare è conveniente, pulito e sicuro.

L'impressione, è piuttosto che il nucleare sia un grosso affare per chi ha già le mani in pasta in fatto di energia, specialmente nel modello centralista cui si accennava poc'anzi.
I giganti del settore, sempre pronti a costruire nuovi mega-impianti; altro che "piccolo è bello".
La partita, come noto, la giocano l'Enel e i francesi dell'Edf.
I fondi pubblici che si prevede di investire nei prossimi dieci anni si aggireranno sui 25 miliardi di euro, per arrivare attorno al 2020 a produrre con l'atomo il 25% del fabbisogno elettrico (cioè meno del 5% del consumo energetico complessivo).

"L'Enel ha lanciato una campagna informativa, che proseguirà per tutto l'anno prossimo, fino a quando non avremo dimostrato, come credo riusciremo a fare, la sicurezza, il vantaggio economico e il minor impatto ambientale dell'energia nucleare", ha dichiarato ieri l'amministratore delegato dell'Enel, Fulvio Conti a margine di un conferenza sul nucleare, naturalmente a Parigi.
Ma a chi gli chiedeva dove si faranno impianti e depositi di scorie non ha risposto, però ha sottolineato di propendere per reattori "grandi e potenti".

"Volete che venga abrogata la norma che consente all’Enel (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all'estero?": questo era il terzo quesito referendario del 1987 cui rispose favorevolmente il 71,9 % dei votanti (l'affluenza fu del 65%).

A Parigi c'era anche l'amministratore delegato di Edison, Umberto Quadrino, che non ha perso l'occasione: "Le dichiarazioni odierne del ministro Scajola - ha detto - confermano la ferma intenzione del governo di portare avanti un programma nucleare italiano. Con Edison siamo molto interessati, assumeremo il ruolo che ci compete in quanto azienda che oggi produce poco meno del 20% del'energia in Italia. È stato siglato l'accordo tra Enel ed Edf per le prime centrali; Edf è nostra azionista, quindi appena sarà il momento saremo pronti a partecipare".

Insomma, governo e multinazionali marciano come se nulla fosse.
Ovviamente in gioco ci sono denaro e salute di noi tutti; ma a quanto pare nessuno dei potenti è sfiorato dal dubbio che forse anche la popolazione avrebbe qualche diritto di dire la sua e di essere informata da soggetti terzi, non certo da chi deve vendere la sua mercanzia.

Questo per quanto riguarda gli aspetti, diciamo, democratici della faccenda.

In una prossima occasione mi occuperò più strettamente delle ragioni che mi inducono a ritenere l'opzione nucleare una strada perdente, non solo per la sua pericolosità intrinseca (gestione delle scorie radioattive, rischio incidenti anche in impianti di nuova generazione - e la distanza dai reattori resta una variabile significativa, possibili conseguenze pesanti in caso di azioni ostili terroristiche o militari) ma anche perché è un metodo che ha costi particolarmente elevati se si tiene conto veramente di tutti gli aspetti, perché la combinazione tra investimenti seri sulle enrgie rinnovabili e sull'efficienza energetica renderebbe superfluo correre questo rischio, perché in ogni caso la materia prima necessaria, l'uranio, è una risorsa limitata che tende a sua volta all'esaurimento eccetera eccetera.
Inoltre, giusto per essere un po' "ideologici" anche se ai tempi dei reality show è fuori moda, nonostante le "campagne informative", resta un fatto: allo stadio tecnologico attuale il nucleare, se qualcosa va storto, resta una strada drammaticamente senza ritorno. Ne riparleremo.

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