Quelle voci, essenza della frequenza

di Paolo Ghezzi - NO

Hail fiato sospeso e il cuore in gola e la voce disseccata dal panico –oggi, alba di lunedì 11 gennaio 2010, undicesimo anniversario del volarvia della Voce di Faber – il popolo dei fedelissimi di Radio3, quelfantastico arcipelago radiofonico lussureggiante di buona cultura,buona musica e buoni libri sopravvissuto alla glaciazione stupidariadella Rai ricalcata sui trionfi della televisione rumorosamentecommerciale e delle radio nevroticamente digeizzate. Oggi infatti partela rivoluzione annunciata dal direttore Marino Sinibaldi, già vocestorica di Fahrenheit, il contenitore di libri e molto altro che dalletre alle sei del pomeriggio, dal lunedì al venerdì, massaggiabeneficamente le teste di centinaia di migliaia di italiani, una speciedi tribù devota al culto della parola. Scritta, letta, riletta,ascoltata, confrontata, incrociata, argomentata, echeggiata e rievocata.
Per il terrore dei radiotreisti osservanti, tribù tradizionalmenteaggrappata al rito persistente delle sigle sempre ritornanti sia purecon le dovute variazioni e delle voci ormai familiari e amatissime(tanto che l'irruzione di una voce di donna, peraltro brava, nellaconduzione di Fahrenheit, ha creato già un piccolo trauma diadattamento e risintonizzazione) ogni novità è eversiva e inquietante,perché si sa quel tanto che si lascia e non si sa quel che si trova.Addio al Terzo Anello musica e a Damasco, per fortuna resistono Uominie profeti della insostituibile Gabriella Caramore, i Battiti delle orepiccole e Radio3 Mondo, purtroppo ritorna in pianta stabile nel weekendil Dottor Djembé di Riondino (forse l'unico programma stonato dellarete), e arrivano nuovi programmi, perfino una nuova sigla per “Fahre”,che da dieci anni si presenta sulla melodia di “My favourite things”,melodia solo apparentemente buonista (sentite come la trasforma quelgenio di John Coltrane) che la bambinaia Julie Andrews mirabilmentecantava in “Tutti insieme appassionatamente”, musical di resistenzaumana che andrebbe rivisto una volta l'anno, come una medicina perrestare un po' bambini, un po' innamorati, un po' antinazisti.
Di sicuro, essendo Sinibaldi un fahrenheitiano doc, il nuovo palinsestodi Rai3 non farà troppi macelli, e tra qualche settimana avremoelaborato il lutto dei programmi cancellati e apprezzeremo icontenitori e le sigle nuove.
Il passaggio epocale di questo undici gennaio del dieci (se sial'ultimo anno del primo decennio del terzo millennio o il primo delsecondo è disputa che lasciamo volentieri agli ingegneri e aimatematici, di sicuro è il primo degli anni dieci e ciò ci basta perconsiderarlo memorabile) ci spinge a due considerazioni: una sulleabitudini, l'altra sulla radio.
Quanto alle abitudini, perfino la Chiesa cattolica, ogni qualchedecennio, aggiorna i suoi riti, ma lo scheletro portante della liturgiarimane fedele a se stesso, e all'antica, immutabile Parola. E così lepiù sagge e autorevoli riviste – pensate al National Geographic, peresempio – ritoccano la loro grafica ma mantengono un'improntainconfondibile, un marchio unico, un sapore inequivocabile. Perchéquando il nome di una testata o di un'istituzione è una garanzia, lasua “antichità” non è un difetto, un peso fastidioso, bensì unrassicurante codice di qualità, un messaggio di fiducia per i suoilettori, clienti o frequentatori che siano. Così bisogna stare attentia cambiare per cambiare, soprattutto se si può contare su uno zoccoloduro di seguaci fedeli. Adelante, Pedro, con juicio: la massimamanzoniana resta di cristallina intelligenza. Andare avanti, certo, macon buonsenso, senza fare scemenze, senza imprudenze scriteriate.
Parlando della radio, poi – a parte il caso personale dei radiotreistiin ansia – occhio (o meglio, orecchio) a cambiare le voci, le sigle, ijingle, gli orari, non solo perché i riti nuovi possono mettere in fugai fedeli vecchi e non catturare nuovi ascoltatori, ma perché le voci ei suoni – da quando eravamo nel grembo materno – sono i nostri primicanali di conoscenza del mondo, e rimangono corde e fili vitali,magici, misteriosi, che è facile spezzare e meno facile ritessere. Enon è la voce di chi non c'è più, quel che più ci manca dei genitori,dei figli, dei fratelli, degli amici assenti nelle nostre stanze vuote?Non è la loro voce che qualcuno sente ancora in sogno e altri sperano,al di là, di riascoltare un giorno?
Per i radiotreisti, le voci di Stinchelli & Suozzo edell'impiccione viaggiatore nella lirica ironia della Barcaccia, diAnna Menichetti che accarezza Chopin e Schubert la mattina, di GuidoBarbieri e Oreste Bossini e Guido Zaccagnini per i viaggiatorninotturni in Suite, di Gaia Varon di Piazza Verdi, di ManuelaMandracchia (la sua lettura del Cavaliere inesistente di Calvino èsemplicemente fe-no-me-na-le, scaricatevi il podcast se non cicredete), di Alba Rohrwacher, Tommaso Giartosio, Felice Cimatti....tutte quelle voci, che ci introducano alla musica, facciano intervisteo leggano romanzi, senza quasi mai aver visto a quali corpi e voltiappartengano, sono le chiavi di quel paradiso sonoro.
Insomma, le voci invisibili sono le ali delle onde, il timbro disorella radio (laudata si'), la poesia della sintonia, l'essenza dellafrequenza.   

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