Tranquilli, è il solitotrito trans tran

di Paolo Ghezzi - NO

Tramortiti dal trambusto sull’ultima (transitoriamente parlando) trasgressione della politica trash, ci sono saltati i transistor e i cuori, più matti del solito, cercano di traguardare al di là delle miserie presenti, incoraggiati dalla domenica soleggiata e di democratica transumanza alle cabine elettorali autogestite.
Traditi, travolti, siamo, eppure portati a considerare transeunte la gloria mundi, che difatti transit, che si tratti di Napoleone o perfin di Marrazzo.
E dunque, riuscendoci difficile decifrare i trascinanti motivi per cui le debolezze politiche si traducono oggi così spesso in tramestii con i trans (a meno che non sia una nuova forma di trasformismo politico finora trascurato nel tempio trans per eccellenza - cioè il Transatlantico dei perduti passi parlamentari (ci resta solo un lancinante dubbio, ma Tremonti traballa o traguarda, transige riabbracciando il posto fisso, o rimane intransigente?) ci permettiamo di trasmigrare verso altri lidi, per riscoprire altri trans meno popolari, meno gossipeschi, meno pruriginosi, ma più appassionanti.
La transahariana, la traversata, non la fanno più i piloti di rally: solo i trafitti, i tralasciati, che cercano di trasferirsi in Italia, se gli riesce di non affogare nel canale di Sicilia.
La transustanziazione nell’eucaristia non fa più discutere nessuno, eppure vi si accapigliarono generazioni di teologi, quando non discutevano sul sesso degli angeli (trans ante litteram?).
La transitorietà è la cifra della condizione umana, eppure molti politici (ma anche cardinali e giornalisti e capitani d’azienda) la considerano una iattura: non si potrebbe recuperarne la virtù e il senso? Tutto passa, anche il potere deve passare.
La transnazionalità la predicano i radicali, e la studiano i giuristi dell’università di Trento: eppure fatichiamo a smantellare le fortificazioni del patriottismo, e a trasvolare sulle tradizioni (rispettabilissime, necessarie) dell’identità: eppure siamo tutti, più o meno, sulla stessa tradotta, transalpini, transappenninici, transamazzonici, transilvani, transiberiani, transandini.
E il transfert, che ci ha insegnato Freud? La traslazione della psicanalisi? Continuiamo a costruirci capri espiatori, bersagli per contrabbandare le nostre angosce, per trasbordare la violenza che ogni tanto ci travalica. Oppure miti, travolgenti essi pure. Oppure alibi, tranquillanti.
E le transaminasi? Ci sfuggono di mano! E le tranvie? Non sono più quelle di una volta! E le transazioni? C’è la crisi, bellezza, non gira più niente, solo qualche mazzetta qua e là. E le transenne? Ci tengono sempre ai bordi della strada, della vita, della gara, della festa. E i transetti? Eh, quelli sì bisognerebbe riscoprirli, nel silenzio delle cattedrali, fuori dalla mischia, dalla babele, dal groviglio! Transetti antistress...
Non travisare le parole, non traviare i cuori, non tradire i travagliati, non far trionfare i tronfi, essere capaci di trasmettere speranza e perfino di trasfigurazione: ecco la transpolitica che ci piacerebbe innaffiare, innestare, trapiantare, trasmigrare nel nostro giardino.

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