Eppure Angela non è una velina

di Paolo Ghezzi - NO

In Italia, fin troppo spesso, è solo una questione di nomi. Cambiando il nome della cosa, si pensa di aver cambiato anche la cosa. In politica, in particolare, la frenesia nominalistica è a livelli di isteria.
La Casa delle libertà è diventata polo (o viceversa: chi se lo ricorda più?) e poi partito, prima ancora che potessimo imparare l'indirizzo della nuova casa, o cosa. Forza Italia è durata appena un decennio. L'Ulivo il soffio di una stagione, poco più di una pausa nell'eloquio pensoso di Prodi; la Margherita lo spazio di un mattino, spetalata anche a livello provinciale dal suo stesso creatore; il Pd l'avevano appena costituito che pensavano già di destituirlo.
Non in tutto il mondo è così. Negli Stati Uniti, da sempre si confrontano elefante e asinello, repubblicani e democratici, e il resto sono briciole. Nella Germania che ha archiviato domenica 27 settembre la Grosse Koalition tra democristiani e socialdemocratici da noi impensabile (e forse non è un male), da sessant'anni i principali partiti non hanno mai cambiato nome, e si possono fare addirittura i confronti con i risultati del 1949: cosa che impedirebbe ai partiti italiani di dire tutti insieme contemporaneamente «abbiamo vinto», grazie anche alla scarsa trasparenza dovuta al continuo rinominare forze politiche e all'incessante alternarsi di simboli e sigle. In Germania no: ci sono ancora i democristiani di Cdu e Csu, ci sono ancora i socialdemocratici della Spd, ci sono ancora i liberali della Fdp (ieri vincitori) e se il partito comunista (per far dimenticare la stagione plumbea della Ddr) ha cambiato nome, adesso si chiama semplicemente «Die Linke», la Sinistra, dichiarando ciò che è, senza aggiungere - all'italiana - parole cosmetiche come «libertà», «diritti» o «rifondazione». E anche i Verdi non si incartano dentro gli arcobaleni, restano Verdi e guadagnano perfino voti quando a sud delle Alpi si sono quasi estinti.
Truccare i nomi non aiuta l'elettore: sarà modernità, ma crea opacità. La Germania - che in termini di economia, tecnologia, cultura, musica, libertà di stampa e capacità di fare i conti col suo passato totalitario ci può insegnare qualcosa - non è moderna come l'Italia, non ha un formidabile fattore di innovazione comunicativa come Mediaset, lassù la politica è rimasta una cosa malinconicamente seria, terribilmente noiosa, come la faccia e la retorica del povero candidato socialdemocratico Steinmeier, che ha tentato invano di fare le scarpe alla cancelliera di cui è stato il grigio vice-Kanzler nel governissimo. Che ha tentato di vincere senza nemmeno raccontare una barzelletta nella sua noiosissima campagna elettorale!
E, a proposito di Angela Merkel, noiosa figlia di un pastore protestante, tanto noiosa da non capire le freddure del nostro presidente del consiglio, lei non ha le misure né il look di una velina o di una ministra italiana, eppure è diventata cancelliera. Una donna! E con qualche chilo di troppo! E non abbronzata! E con delle improbabili giacche arancioni! E con una faccia da governante seriosa, noiosissima, da mastina di mezz'età! Una donna pallida con le rughe, non un Cavaliere tecnicamente immortale, brunito, ritoccato e stirato di fresco! Una donna normale al comando! Che cosa inaudita, incredibile, inconcepibile nella modernissima Italia politica del Capo maschio conquistador e dei depistanti cento nomi nuovi delle vecchie, riverniciate e dissimulate cose.

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