Italia / Il caso

La nuova opera di Laika a via Rasella è dedicata a La Russa e si intitola "Dimissioni!"

La street artist Laika contro il presidente del Senato dopo la falsificazione storica sull'attentato del marzo 1944: altro che "musicisti semipensionati", i miliziani sudtirolesi del Polizeiregiment Bozen erano soldati nazisti utilizzati in attività contro i partigiani e i civili

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ROMA. All'alba di oggi, 3 aprile, in via Rasella a Roma, è apparsa una nuova opera della street artist Laika, dal titolo "Dimissioni!".

Il poster raffigura un soldato nazista che suona un trombone dal quale esce la parola "dimissioni!".

L'opera è una esplicita critica alle dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa che pochi giorni fa ha definito, riportando una ricostruzione storica falsa, i militari uccisi nell'attentato del 1944 "gruppo di musicisti semipensionati" i membri del Polizeiregiment Bozen, in realtà veri e propri soldati nazisti altoatesini, utilizzati in azioni contro i partigiani e i civili.

"È inammissibile!", dichiara l'artista, "che la seconda carica dello Stato si permetta di fare affermazioni del genere: è un becero tentativo di revisionismo storico. Non è la prima volta se pensiamo alle frase della premier Meloni sull'eccidio delle fosse Ardeatine 'Uccisi perché italiani'. Trasformare, a distanza di anni, dei militari del Polizeiregiment Bozen, quindi nazisti, "in musicisti semi-pensionati (impossibile data la giovane età dei soldati), è un insulto a tutte le vittime del nazifascismo (oltre a tutti i poveri musicisti 'semi pensionati').

Non ricordo di aver letto di tromboni, violini e tamburi in quel di via Rasella. Ricordo invece le gesta eroiche dei partigiani contro l'invasore. Un presidente del Senato dovrebbe, come minimo, conoscere la storia del proprio paese. I nostri nonni hanno lottato e sacrificato la loro vita per porre fine alla dittatura fascista. Certe affermazioni sono intollerabili. Non c'è spazio per i fascisti in questo Paese, tantomeno al governo. Il presidente La Russa non è degno di rappresentare quella carica: dovrebbe dimettersi e studiare bene la storia".

Laika dedica questo poster a Marisa Musu, partigiana, gappista, che quel 23 marzo del 1944 era presente a via Rasella e "ai nostri nonni" che hanno sacrificato la vita per un Paese democratico.

In pochissimi anni Laika è diventata tra le più note street artist italiane: l'ultima sua opera, Mafia sucks, era affissa a pochi metri dal carcere dell'Aquila dove è rinchiuso Matteo Messina Denaro.

Nel 2019 il poster sul calciatore Daniele De Rossi a Testaccio prima della sua ultima partita con la Roma 'In hoc signo vinces', diventato immediatamente virale, le ha dato la prima popolarità e non solo tra i tifosi romanisti come lei.

Il nome d'arte è un omaggio alla cagnetta che salì sullo Sputnik nel 1957 e se le chiedi come si definisce, risponde 'attacchina'.

Tutto questo, come si vede anche nel film a lei dedicato 'LIFE IS (NOT) A GAME' presentato alla Festa di Roma, opera prima di Antonio Valerio Spera, prodotto da Morel Film e Salon Indien Films.

Come Banksy ("il numero 1"), come TvBoy ("lo ammiro tantissimo"), come Maupal ("il suo Papa è un uomo dolcissimo"), Laika è una artista di strada il cui messaggio arriva forte e chiaro ed è (quasi) sempre di protesta, "è incredibile la potenza che può avere un poster sul muro a smuovere le persone, a farle sentire coinvolte", ha detto in un'intervista all'Ansa.

"Il messaggio per me - ha proseguito - viene prima del lato artistico. È una vera e propria azione con effetti immediati, fin che sta lì sul muro dove cammini non puoi evitarlo, ti fa pensare".

Accanto ai migranti, facendo abbracciare Giulio Regeni e Paki, svelando la fake news dei cibi cinesi nei primi giorni della pandemia, Laika scardina le convinzioni comuni, si espone, 'fa politica'.

In questi anni lei, come Banksy e tanti altri street artist, hanno dato con impegno sociale e politico in prima persona forza e dignità all'arte di strada, da sempre la cenerentola delle arti.

"Parte tutto dalla mia emozione, dal mio moto ribelle, questo è il motore di tutto e si fonde con la mia coscienza sociale e politica". Il film documenta il suo impegno accanto ai rifugiati della rotta balcanica, a chi tenta "il game"(come si dice in gergo il tentativo di attraversare il confine con la Croazia).

Laika all'inizio del 2021 è stata lì per denunciare le atroci condizioni di vita dei migranti e poi nell'aprile del 2022 è stata in Polonia, al confine con l'Ucraina. Quel lavoro a Przemysl s'intitola 'All refugees welcome!' e raffigura bambini in fuga da ogni guerra.

Il film non è un convenzionale documentario sull'arte, né un classico biopic, ma il racconto degli ultimi due anni della nostra vita osservati dal punto vista della artista romana. Il racconto inizia proprio nel 2020: si passa dalla discriminazione verso la comunità cinese all'obiettivo "immunità di gregge" di Boris Johnson, dalle conseguenze economiche della pandemia fino alla guerra in Ucraina.

La macchina da presa segue Laika nei blitz notturni, nel confinamento durante i duri mesi del lockdown, per poi accompagnarla in Bosnia all'inizio del 2021, quando l'artista decide di intraprendere il viaggio sulla rotta balcanica per denunciare le atroci condizioni di vita dei migranti; e infine in Polonia, al confine con l'Ucraina, nell'aprile del 2022.

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