Veneto / Il caso

Batterio killer in ospedale, indagati gli ex dirigenti. L'ipotesi: da un rubinetto infetto l'acqua dannosa per neonati

Nel complesso l'inchiesta riguarda 89 casi di danni fisici gravi o anche di decessi

L'INDAGINE La Regione: ecco le analisi nella terapia intensiva neonatale
LE PROTESTE La prima mamma che denunciò il caso: "L'ospedale andava chiuso"

VENEZIA. La Procura della repubblica di Verona ha iscritto sette persone nel registro degli indagati, con le ipotesi di reato di omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime in ambito sanitario, nell'inchiesta sull'infezione da Citrobacter all'ospedale della mamma e del bambino, dove 89 neonati sarebbero stati uccisi (si sospetta che i decessi a causa del batterio siano quattro) o danneggiati dall'infezione che in alcuni avrebbe provocato anche lesioni cerebrali irreversibili.

Si tratta - rivela il Corriere di Verona - degli ex vertici e dei medici della struttura ospedaliera, già oggetto di provvedimenti amministrativi da parte dell'azienda Ulss scaligera: l'ex direttore generale Francesco Cobello, attuale direttore della Fondazione Scuola Sanità Pubblica, Chiara Bovo, ex direttore sanitario e ora alla direzione della funzione ospedaliera a Schiavonia (Padova); il direttore medico della struttura Giovanna Ghirlanda; il primario di Pediatria Paolo Biban; Evelina Tacconelli, direttore di Malattie Infettive; Giuliana Lo Cascio, ex primario facente funzioni di Microbiologia e Virologia, ora a Piacenza; Stefano Tardivo, risk manager della struttura.

Biban, Bovo, Ghirlanda e Lo Cascio erano stati sospesi con il 5 settembre 2020, con un provvedimento di Cobello, poi rientrati al lavoro.

Al centro delle accuse le circostanze emerse nella relazione degli ispettori della Regione Veneto, secondo cui il focolaio epidemico era attivo fin dal 2018, in particolare legato all'utilizzo di acqua da un rubinetto contaminato per la preparazione del latte in polvere.

Solo il 12 giugno 2020, quando i contagi aumentarono e partirono le proteste delle mamme delle piccole vittime, il punto nascite fu chiuso e sanificato.

Il rubinetto incriminato era utilizzato dal personale della terapia intensiva neonatale per prendere l’acqua e darla ai piccoli, secondo quantoe ra emrso dall'indagine tecnico-scientifica svolta dalla Regione. [Ansa]

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