Migranti, Renzi: numero chiuso «Basta con la logica buonista Bisogna aiutarli a casa loro»

«Dobbiamo avere uno sguardo d’insieme uscendo dalla logica buonista e terzomondista per cui noi abbiamo il dovere di accogliere tutti quelli che stanno peggio di noi. Se qualcuno rischia di affogare in mare, è ovvio che noi abbiamo il dovere di salvarlo. Ma non possiamo accoglierli tutti noi. E aver accettato i due regolamenti di Dublino, come hanno fatto gli esecutivi italiani del 2003 e del 2013, è stato un errore clamoroso. Vorrei che ci liberassimo da una sorta di senso di colpa. Noi non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio».


È quanto sostiene Matteo Renzi nel suo libro «Avanti», di cui Democratica, rivista on line del Pd, dà un’anticipazione, affermando la necessità di un numero chiuso. «Se ciò avvenisse - sostiene l’ex premier - sarebbe un disastro etico, politico, sociale e alla fine anche economico. Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ripetiamocelo.
Ma abbiamo il dovere morale di aiutarli. E di aiutarli davvero a casa loro».

Pochi giorni fa lo stesso Renzi aveva evocato il rischio di una «invasione» se i numeri sono eccessivi e l'integrazione non funziona. «I nostri figli staranno in una società sicuramente multietnica, ma io non so se sperare multiculturale.
Nel senso che ho voglia dell’incontro con le culture altrui ma voglio difendere la cultura che anima questo territorio», aveva detto a un convegno. Secondo Renzi, la sinistra si deve rendere contro che «se non hai un’identità non integri, sei invaso».

«Perché - afferma ancora il leader Pd nel libro - l’immigrazione indiscriminata è un rischio che non possiamo correre. Sostenere la necessità di controllare le frontiere non è un atto razzista, ma un dovere politico: come nota Regis Debray in un suo testo di qualche anno fa, “Elogio delle frontiere”, “una frontiera riconosciuta è il miglior vaccino contro l’epidemia dei muri”.

Ed è evidente che occorre stabilire un tetto massimo di migranti, un numero chiuso, che, in relazione alle capacità del sistema-paese di valorizzare e integrare in maniera diffusa, nel rispetto della sicurezza e della legalità, consenta un’accoglienza positiva e sostenibile.

Il tutto, naturalmente, ribadendo la necessità che la responsabilità dell’accoglienza sia equamente condivisa con gli altri stati europei. Perché un eccesso di immigrazione non fa bene a nessuno».
Per Renzi, «non fa bene ai Paesi da cui queste nostre sorelle e fratelli partono, visto che l’allontanamento di una parte così importante di capitale umano (paradossalmente, infatti, sono spesso le persone più motivate, competenti e privilegiate a poter intraprendere il viaggio) non può che rallentarne l’auspicabile processo di riforma degli assetti politici e sociali».

In altri termini, sostiene l’ex premier nel suo libro, «un eccessivo tasso di emigrazione spesso priva le società meno sviluppate delle competenze e delle risorse umane di cui avrebbero bisogno per crescere e ammodernarsi.

E non fa bene alle comunità che accolgono, le quali rischiano di veder crescere all’interno delle loro città quelle diaspore e quei ghetti che simboleggiano così plasticamente il fallimento di certe politiche d’integrazione.

“La persona che ha più bisogno di noi”, come nota acutamente Paul Collier nei suoi ottimi saggi (Exodus, Refuge), “non è quella che riesce ad arrivare da noi, ma quella che neanche può permettersi di provarcì. E dunque la vera sfida della sinistra può consistere solo in un grande, gigantesco investimento in cooperazione internazionale e aiuti allo sviluppo. Dobbiamo far uscire il dibattito sull’immigrazione dal perimetro dello scontro ideologico, che porta inevitabilmente ad accapigliarsi sulla domanda sbagliata - “immigrazione sì o immigrazione no?” - e a ignorare la domanda giusta: 2come si può gestire un’immigrazione positiva e sostenibile?”».

Aggiunge Renzi: «Aver accettato i due regolamenti di Dublino, come hanno fatto gli esecutivi italiani del 2003 e del 2013, è stato un errore clamoroso».

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