La psicologa Benedetta Giacomozzi «Così abbiamo aiutato i terremotati»

Dei vasetti di marmellata. Che importanza possono avere? Probabilmente poca, pochissima in una situazione di normalità. Ma, in altri casi, possono rappresentare un punto di partenza e di ripartenza e diventare simbolo di quotidianità, di famiglia, di amore. 
Spieghiamo: inizio settembre, una settimana dopo il terremoto, Amatrice, zona rossa.

I Vigili del Fuoco vanno a recuperare dei beni in una casa crollata. Poco distante la signora proprietaria dell'abitazione e, al suo fianco, Benedetta Giacomozzi (al centro nella foto), psicologa ventinovenne della val di Cembra. 
«La signora aveva chiesto che recuperassero gli orologi del marito, scomparso qualche tempo prima. Stavamo aspettando il ritorno dei vigili del fuoco e lei raccontava come "qualcuno, da lassù, quella notte mi ha protetta". Poi sono arrivati con un borsone e la signora ha chiesto degli orologi. "Niente da fare, ma abbiamo recuperato questi", le hanno risposto». 
E i pompieri hanno iniziato a estrarre vasetti di marmellata fatta in casa e a darli alla signora. 
«Era felicissima - prosegue Benedetta Giacomozzi, laureata a Padova nel 2011 e da sempre interessata al lavoro nel sociale - perché quei vasetti le hanno permesso di ricordare giornate felici e tranquille e così ha potuto mettere un piccolo tassello per superare quel dramma». 
Giacomozzi fa parte del gruppo Psicologi per i Popoli del Trentino: un'organizzazione che ha una federazione nazionale e che viene coordinata dalla Protezione Civile del Trentino. Per cinque giorni, a inizio settembre, è stata ad Amatrice. E in questi giorni giorni è nelle Marche, lungo la costa, per portare sostegno agli sfollati dopo le scosse di ottobre. Un'attività, quella degli psicologi dopo un'emergenza, magari poco evidente ma assolutamente fondamentale. 
«A settembre è stato il mio battesimo con gli Psicologi per i Popoli. È arrivato un messaggio di pre allerta e poi siamo partiti. Il nostro lavoro è a stretto contatto con i vigili del fuoco, che ci chiamano per accompagnare le persone quando tornano nelle proprie case distrutte e per star loro vicine nelle lunghe giornate nelle tendopoli».
Prima di partire la preoccupazione era tanta. 
«Ero un po' timorosa, ma anche consapevole di quello che sarei andata a fare. Quell'esperienza mi ha insegnato tanto e permesso di scoprire risorse professionali e personali che non avrei pensato di avere. La squadra e il gruppo aiutano molto: si tratta di un supporto per noi che andiamo a supportare». 
Il sostegno psicologico, soprattutto nell'immediato, è fondamentale per chi ha improvvisamente perso tutto. 
«La psicologia nell'emergenza è una materia molto particolare e delicata e viverla sul campo, rispetto ai libri, è molto diverso. Condivisione e fare comunità sono fondamentali. Rispetto alla psicologia nell'accezione comune è tutto differente: si parla per strada o magari mentre si fa una partita a briscola la sera. E il contesto non è certo quello di un comodo ufficio. Noi chiaramente non facciamo diagnosi, perché non si tratta di affrontare un dolore patologico». 
L'esperienza di questi giorni nelle Marche potrebbe essere più difficile visto il periodo natalizio, che è sinonimo di casa, famiglia e comunità. 
«Credo possa esserci una duplice e opposta lettura: da una parte il Natale può attivare i ricordi di quello che era e amplificare il disagio. Dall'altra può essere una risorsa per riuscire a fare sempre più comunità, anche se in una situazione di disagio».

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