Venticinque anni fa la caduta dell'Urss

Un celebre aforisma di Vladimir Putin recita: "Chi non rimpiange l'Unione Sovietica non ha cuore, chi vorrebbe resuscitarla non ha cervello". Ecco, ora che il 25esimo anniversario della dissoluzione dell'Urss è alle porte, ad avere cuore in Russia sono - stando ai sondaggi - la maggioranza delle persone. Insomma, si stava meglio quando si stava peggio. Con buona pace delle conquiste democratiche.

Secondo il centro Levada, infatti, il 56% dei russi confessa di provare nostalgia per il Comunismo mentre solo il 28% dice di non avere rimpianti. Il 16% poi non ha nemmeno un'opinione al riguardo. L'istituto demoscopico sottolinea che tra i nostalgici il 53% degli intervistati ricorda con favore proprio l'economia centralizzata mentre il 43% lamenta la perdita del posto di primo piano nello scacchiere geopolitico internazionale. Non è dunque un caso se oggi, in Russia, il dibattito intorno a questo anniversario ruota intorno a un unico quesito: l'Unione Sovietica poteva essere preservata? Mikhail Gorbaciov è convinto di sì. "Ho combattuto per la sua salvezza sino alla fine", ha detto recentemente in un'intervista con la Tass. "Riformare l'Urss era possibile e necessario". Ma la fine era ormai giunta con il tentato golpe del 19 agosto, "una reazione della burocrazia", e da lì in poi si è trattato solo di una questione di tempo; ad accelerare il processo è stato Boris Eltsin, che l'ex leader sovietico definisce come un uomo "assetato di potere".

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Il colpo di grazia arrivò l'8 dicembre con la firma del trattato di Belavezha, in cui il leader del Soviet Supremo bielorusso, Stanislav Shushkevich, e i presidenti di Russia e Ucraina, rispettivamente Eltsin e Leonid Kravchuk, dichiararono la "fine dell'Unione Sovietica come entità giuridica e politica". Il resto, come si dice, è storia: il 25 dicembre alle ore 18 Gorbaciov si dimise e dichiarò abolito l'ufficio della presidenza. Tutti i poteri passarono a Eltsin in quanto leader della Russia, Stato "continuatore" dell'Urss. Alle 18,35 la bandiera sovietica sopra il Cremlino fu ammainata e sostituita dal tricolore russo. Infine, il 26 dicembre, il Soviet Supremo riconobbe formalmente la dissoluzione dell'Unione Sovietica. E il 1° gennaio del 1992 il premier Igor Gaydar introdusse la liberalizzazione dei prezzi, portando di fatto l'economia di mercato ai russi. Fu il principio dei "selvaggi anni Novanta", un'epoca di grande trasformazione (e caos) segnata dalle privatizzazioni folli, la nascita della classe degli oligarchi, guerre fra bande criminali e il tracollo della qualità della vita per la maggioranza dei russi. Il passaggio da un'economia centralizzata al modello capitalista non fu insomma indolore.

Eppure, oggi che il ricordo degli anni difficili e crepuscolari del comunismo ormai è sbiadito, a fare esercizio di memoria storica è lo scrittore Mikhail Veller nella sua trasmissione "E' forse possibile?" alla radio Echo di Mosca. "Nessuno - ammonisce - voleva conservare l'Urss nel 1991: gli operai e i contadini volevano guadagnare come i loro colleghi americani e tedeschi, i direttori di fabbrica non desideravano che privatizzare e condurre una vita da benestanti. E che cosa voleva il vertice del partito? In parole povere appropriarsi del massimo possibile e trasmetterlo ai figli...". Nessun complotto, solo il normale corso della natura umana. 

Ma al netto dell'ideologia e del pugno di ferro di Mosca, quell'idea di una confederazione di Stati, soprattutto oggi che la competizione è fra blocchi sempre più grandi, torna a fare capolino. "Una nuova Urss, di natura volontaria, sarebbe possibile", spiega ad esempio Gorbaciov. Assurdo? E chi lo sa. L'Unione Economica Euroasiatica voluta da Putin va in quella direzione. Il modello Ue, oggigiorno tanto vituperato, potrebbe insomma riscoprirsi 'interessante' laddove meno ce lo aspetteremmo.

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