I bambini terminali chiedono di non soffrire. Il medico: "Non tutto si guarisce ma tutto si cura"

«Voglio andare a casa», «non voglio sentire dolore», «voglio giocare», «voglio stare con mamma e papà»: è questo quello che chiedono i bambini che stanno molto male, anche negli ultimi giorni di vita. È il desiderio di normalità quello che i piccoli esprimono anche negli ultimi giorni della loro esistenza dove il concetto e la consapevolezza della morte è molto distante da quello degli adulti. A raccontarlo è Corrado Cecchetti, Responsabile della così detta «Area Rossa» dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, dove i medici lavorano soprattutto per la rianimazione ma anche per l’assistenza e la lotta al dolore nei piccoli pazienti che stanno finendo la loro vita.

Un racconto che apre una finestra su un mondo, quello dei malati terminali pediatrici, al centro del dibattito dopo la notizia del primo caso di eutanasia su un bambino in Belgio. Non sono quindi i piccoli a pensare alla morte ma, a volte, qualche richiesta arriva, da parte dei genitori, soprattutto di fronte ad una malattia molto lunga come alcune forme neurodegenerative.
«Ogni bambino anche quando non è guaribile è sempre curabile - spiega il medico - ma serve un approccio palliativo vero, un controllo della sofferenza che deve essere totale. Va gestito il dolore fisico ma anche quello psichico. I bambini a volte per non vedere la sofferenza dei genitori nascondono la propria sofferenza». Un circolo che Cecchetti definisce di «reciproche pietose bugie dove il bambino non dice tutta la verità alla mamma e al papà per non vederli tristi».

Il primo obiettivo è quindi quello di usare tutte le risorse per evitare il dolore: un lavoro che prevede la partecipazione di più specialisti, compresi gli oncologi quando il bambino soffre appunto di tumore, ha spiegato il medico. «Bisogna usare tutte le carte possibili nei tempi giusti per arrivare in estremo alla sedazione palliativa». Una opportunità che resta per i casi estremi quando il dolore e l’angoscia non è più sostenibile. Allora e solo in quel caso il malato viene aiutato con un sonno che «paradosalmente può allungare di qualche giorno la vita, anche se l’obiettivo ultimo non è questo, ma è quello di mantenere un equilibrio perfetto dove si evita l’accanimento terapeautico».

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