Riforma, affondo di D'Alema «Così si spacca l'Italia»

Sembra uno scherzo del destino il titolo del film, «El abrazo de la serpiente», in proiezione al cinema Farnese, dove Massimo D’Alema lancia i suoi comitati del centrosinistra per il no, con i quali punta a sconfiggere il sì al referendum e ad aprire una nuova prospettiva alla sinistra progressista «dopo la fine del partito della Nazione di Renzi».

A parole, però, l’ex premier vuole evitare lo scontro all’ok Corral con il leader Pd, affida la guida del comitato a Guido Calvi, «non iscritto al Pd», e assicura che la battaglia sarà nel merito contro una riforma «mostriciattolo, che spacca il paese» e distorce gli equilibri tra poteri.

Dice di aver dovuto cambiare tre volte la sala per riuscire a raccogliere «la spinta alla partecipazione» ad una riunione che doveva essere operativa ma in realtà ha illustrato l’Abc delle ragioni del no.

«Non potevamo rimanere insensibili», ironizza D’Alema aprendo l’iniziativa alla quale, oltre a comuni cittadini, partecipano alcuni parlamentari Pd (Corsini, Mucchetti, Pegorer), ex Ds come Cesare Salvi e Stefano Passigli, gli esponenti di Sinistra italiana Scotto e D’Attore e ha fatto capolino il membro del cda Rai Carlo Freccero.

Prima di infilzare la riforma e l’Italicum, frutto di «una maggioranza di trasformisti che non aveva un mandato popolare», l’ex leader Ds si scrolla di dosso le accuse. «Io divido il Pd? No, qui ci sono persone non del Pd, che alle ultime amministrative ha perso più di un milione di voti, di fatto c’è un partito senza popolo e un popolo senza partito, al quale noi non vogliano dare un partito ma un’occasione di impegno civile».

D’altra parte, incalza, in attesa che la minoranza «tragga le conseguenze» del niet del governo a cambiare l’Italicum e salti il fosso, «chi nel Pd è contrario è già uscito» anche perchè nel Pd «non è riconosciuto il dissenso».

Pur non volendo personalizzare, D’Alema non fa mistero che la battaglia referendaria è il primo passo di una lunga marcia che deve aprire lo spazio ad «una nuova generazione per tornare a costruire una prospettiva di centrosinistra».

Un passaggio per costruire il dopo Renzi al quale però lui si chiama fuori.

In ogni caso, rassicura l’ex premier, «se vincesse il no, non ci saranno elezioni anticipate, il governo andrà avanti o se ne formerà un altro ma non spetta a noi deciderlo».

Tra una frecciata al premier, che «stimo perchè sostiene tutto e il suo contrario» e un annuncio di prossimi appuntamenti «aperti» a tutte le forze politiche, l’ex ministro smantella una riforma spiegata con un dibattito «fasullo, non fondato su dati di fatto» che passa dal bicameralismo perfetto al «bicameralismo confuso».

D’Alema sottolinea che in realtà la riforma intende accentrare il potere nell’esecutivo, mentre esistono casi eccellenti di bicameralismo paritario, come gli Stati Uniti, dove i parlamentari sono i controllori del governo.

L’ex ministro degli esteri ironizz apoi sulla forma regionale attribuita al Senato riformato: «Siamo di fronte a un caso raro di Senato federale senza che si sia uno Stato federale».

E in proposito, D’Alema va giù pesante anche sui contenuti del titolo V, che sottraggono il potere legislativo alle Regioni ordinarie tradendo quel regionalismo che da sempre ha ispirato la sinistra. Inoltre, afferma, si dice di voler ridurre il contenzioso nelle materie a legislazione concorrente Stato-Regioni ma in realtà lo si alimenterà ulteriormente.

E a proposito di differenze fra enti territoriali, D’Alema critica la scelta del governo (avallata dal Parlamento) di allargare la forbice che segna il divario di potere localmente disponibile fra aree governate da Regioni a statuto ordinario e altre a statuto speciale. Vuol dire che se vivi in una Regione ordinaria, spiega l’ex premier, per esempio in Basilicata, lo Stato può decidere di venire e scavarti un pozzo petrolifero in un parco; ma non potrebbe fare altrettanto in quelle autonome. Evidente il trattamento e il peso diverso attirbuito ai cittadini.

E a chi, come oggi Dario Franceschini, gli ricorda le affermazioni del passato sul superamento del bicameralismo perfetto, D’Alema ribatte che ad aver cambiato idea non è stato lui: «Questa riforma non è molto diversa da quella di Berlusconi per cui è difficile che chi si oppose allora voti a favore ora».

Meglio sarebbe stata una riforma di 3 articoli per ridurre il numero dei parlamentari o addirittura l’abolizione tout court del Senato per non parlare del mix con l’Italicum, «un aggiustamento del Porcellum» che non garantirà stabilità di governo ma consentirà al vincitore di entrare in parlamento «con un codazzo scelto da lui medesimo».

I renziani, in rispetto alla linea dei toni bassi, evitano contrattacchi. Ma la battaglia è all’inizio e D’Alema si dice anche disposto ad un confronto con Maria Elena Boschi.

«L’errore più grande per il vertice del Pd - consiglia Gianni Cuperlo - è ritenere che chi vota no è un avversario o espressione della conservazione. Mai come ora servono ascolto e rispetto».

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