L'inferno a Bruxelles, Chiara Bolner sotto shock «Prima il botto e poi tante persone sanguinanti»

di Marica Viganò

Due passi a piedi anziché prendere la metro per raggiungere l'ufficio, nell'edificio che si trova proprio sopra la fermata di Maelbeek. Una scelta istintiva, che le ha salvato la vita. «Avevo più tempo stamattina (ieri per chi legge, ndr), è già periodo di vacanza qui e c'è meno traffico sulle strade. Per fortuna ho fatto la strada a piedi, altrimenti non so se sarei al telefono ora». Chiara Bolner è funzionaria alla Commissione Europea, da oltre 18 anni a Bruxelles. Il quartiere in cui abita è ad una ventina di minuti dalle istituzioni europee. «Arrivo in ufficio ogni mattina fra le 8.30 e le 9, nella fascia oraria in cui è avvenuto l'attentato, e la fermata della metro è proprio quella di Maelbeek», evidenzia.

[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"1093251","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"2125","width":"1851"}}]]

 

Era in ufficio, al settimo piano dell'edificio sede della Direzione generale dell'agricoltura, quando è avvenuta l'esplosione nella metropolitana. «Si è sentito un forte botto ed i vetri hanno tremato. Abbiamo atteso indicazioni dal nostro sistema di sicurezza, ma ci sono stati momenti di incertezza: non si capiva se era meglio uscire dall'edificio o rimanere all'interno. Prima ci hanno bloccato fisicamente, poi ci hanno invitati ad uscire: il nostro è stato l'unico ad essere evacuato fra gli edifici in cui hanno sede gli uffici della Commissione Europea».

All'esterno della struttura Chiara Bolner ha visto l'inferno. «Dalla fermata principale della metro stavano uscendo le persone: erano sanguinanti, sotto shock, alcune erano al telefono. C'erano molti poliziotti, poi sono arrivate le ambulanze ed i pompieri. Alcuni autobus sono stati utilizzati per trasportare i feriti all'ospedale e per spostarli da quel luogo» racconta. Si è ritrovata in strada, assieme ai colleghi, senza alcun tipo di informazione.

[[{"type":"media","view_mode":"media_original","fid":"1092226","attributes":{"alt":"","class":"media-image","height":"726","width":"709"}}]]

 

«Non sapevamo se fosse meglio disperdersi o rimanere in gruppo, giravano le voci di attentatori pronti a sparare sulla folla». Anche questa volta Chiara Bolner ha seguito l'istinto: «La gente ha iniziato a correre...mi sono messa a correre anch'io, nella direzione opposta a quella delle sedi delle istituzioni: verso casa, volevo andare dai miei figli, stare con loro». La Pasqua la trascorrerà a Trento con i figli ed il marito italo-francese, senza ancora sapere con che mezzo raggiungere l'Italia. «Forse prenderemo l'auto: sarà lunga, con tre frontiere da superare. Speriamo che i controlli vengano fatti, ora sono necessari più che mai». Alla domanda se si sente ancora tranquilla a lavorare e a crescere i figli in una Bruxelles «sotto assedio», risponde con una riflessione.

«Tante gente se lo chiede - spiega - Credo che sia una situazione di crisi generale, in questo momento più pesante a Bruxelles. È una realtà difficile che abbiamo appena iniziato conoscere e con la quale dovremmo convivere per i prossimi anni. Se è l'Isis? Non so quale sia l'ideale che porta la gente a perpetrare atti di questo tipo. Penso però di non cambiare niente. Anzi, bisogna impegnarsi di più perché i ragazzi crescano in un ambiente sereno, equilibrato, senza pregiudizi, senza odi, senza dare colpe a qualcuno: questa è la mia preoccupazione maggiore. Se siamo a Bruxelles, a Berlino o a Roma, non cambia».

Le altre testimonianze dei trentini.

comments powered by Disqus