«Al centrosinistra servono compattezza e radicamento»

di Domenico Sartori

Un messaggio al «Cantiere» dellaiano e uno al Pd. Ma prima di tutto un avvertimento al centrosinistra autonomista, destinato a perdere se abbandona i pilastri della compattezza e del radicamento territoriale. Ugo Rossi ringrazia i candidati che ci hanno messo la faccia: «Un esercizio di democrazia in tempi in cui mettersi a disposizione della propria comunità è particolarmente difficile». Ringrazia pure i cittadini «che hanno esercitato il loro diritto-dovere di votare» in tempi di astensionismo crescente. Al «Cantiere» di Dellai, che a Trento ha ottenuto più consensi del Patt, dice: «Quando ci sono meno votanti, si contano i voti. Si faccia un raffronto con le precedenti comunali a Trento e avrete la fotografia reale». Un altro al Pd: «Valorizziamo le persone e le liste prima che i simboli e qualche traino nazionale». Il presidente della Provincia ripete: «In queste elezioni non ho messo becco, ho partecipato solo a quattro presentazioni, una a Lavis». E insiste a più riprese sui due pilastri che, soli, dovrebbe rendere magnifiche e progressive le sorti del centrosinistra aunomista, cioè garantirgli un futuro: compatezza e radicamento.

Presidente Rossi, che valutazione dà delle elezioni nei 141 comuni trentini?
«Non vedo grandi spostamenti tra un polo e l’altro di voti. Anzi, i voti si muovono dentro gli schieramenti. Vedo nel centrodestra un grande spazio politico che in questo momento è occupato esclusivamente dalla Lega. Vedo nel centrosinistra una certa emorragia di voti che riguarda in particolare alcuni partiti, che secondo me sono un po’ vittima dell’astensionismo. Vedo invece, specialmente dove la coalizione non si è presentata con una logica di coesione, unitarietà e progetto politico comune, lo spazio occupato dalle civiche».

Che infatti in certe zone hanno dominato.
«Ma le civiche alle elezioni comunali le abbiamo sempre avute. Il centrosinistra autonomista deve darsi un obiettivo: caratterizzarzi sì, perché avere una connotazione politica è una scelta di fondo ben precisa, ma anche stare molto più attento di quanto non stiamo facendo oggi, a coltivare un rapporto diretto con gli elettori, fatto di radicamento e di valorizzazione delle persone e delle liste più che dei simboli e di qualche traino nazionale. Se lo fa, avrà certamente davanti a sé la possibilità di continuare la sua azione positiva per il governo della Provincia, anche in chiave di prossimi appuntamenti politici, anche nazionali».

Partiti vittime dell’astensionismo: a chi si riferisce?
«Un calo di voti anche all’interno del centrosinistra autonomista c’è stato. E siccome non c’è uno spostamento di voti tra i due poli, è evidente che a qualcuno l’astensionismo ha fatto più male che ad altri».

Il centrosinistra autonomista non si è rafforzato.
«No, non si può assolutamente dire che si sia rafforzato. Il centrosinistra autonomista ha una sua proposta politica che, dove è fatta con unitarietà di programmi, coesione, capacità di andare d’accordo tra le persone, riconoscimento del ruolo del leader, tiene e non ha particolari problemi. Dove invece non si riesce a mettersi d’accordo, oppure si mettono in discussione i leader, è evidente che il centrosinistra qualche difficoltà ce l’ha».

A Pergine il centrosinistra autonomista si è presentato unito, però hanno vinto le civiche.
«A Pergine  la nostra proposta politica è stata costruita non con il radicamento che richede la capacità di essere in presa diretta con i cittadini. Dobbiamo riflettere su questo. In altri casi, invece, accanto alla proposta caratterizzata molto dal punto di vista politico, c’è anche un forte radicamento, com’è successo a Riva del Garda, e c’è stato un grande risultato. Chiarezza politica di proposta e capacità di radicamento: per fare questo c’è bisogno che tutte le componenti della coalizione si sentano coinvolte, senza primogeniture. Il centrosinistra autonomista dev’essere un patrimonio di tutti, da valorizzare al meglio nel prossimo futuro. Il radicamento serve a Pergine, ovunque. Anche a Trento»

Il vento leghista, l’effetto Salvini, s’è fatto sentire. Come lo interpreta?
«Ci sono dei problemi nelle nostre comunità e nelle nostre città, che devono essere affrontati. Noi, rispetto alla Lega, abbiamo scelto una via più difficile e faticosa: gestire i problemi giorno per giorno anziché agitare soluzioni che non arrivano mai e non sono mai arrivate quando la Lega ha governato. Ma quello alla Lega è un voto che comunque va tenuto presente».

Le civiche possono diventare uno scenario realistico per il 2018?
«A elezioni provinciali c’è bisogno di operare una sintesi e la connotazione politica è in questo caso più presente. Dobbiamo essere capaci di combinare caratterizzazione politica, senza entrare in una logica di civismo a tutti i costi, e radicamento, il lavoro quotidiano. Anche magari per sentirsi dire di no».

Quando parla di leader in discussione, si riferisce al caso Rovereto?
«Parlo in generale. Il primo presupposto per far funzionare bene un gruppo è sentirsi parte della direzione di marcia di quel gruppo. Valorizzare tutte le sensibilità, ma tutti devono riconoscere che se ci sono dei ruoli, questi ruoli devono essere garantiti».

A Pergine, terza città del Trentino, c’è stato un problema di leader?
«No, la persona (Tomaselli, ndr) era nuova ma conosciuta. A Pergine è mancata la costruzione di una continuità nel tempo. Anche se ci sono partiti che, pur in una situazione di difficoltà, grazie al radicamento, non sono precipitati di più. Attenzione al civismo: a Brentonico, è originato da una spaccatura della sinistra; a Pinzolo, una parte della sinistra governa con la Lega. Non abbiamo bisogno di diventare civici, siamo il centrosinistra autonomista. Siamo civici nel contesto nazionale per definizione».

Dove ha funzionato questo radicamento?
«In termini numerici e di capacità di interpretare il cambiamento, ad esempio, a Lavis, il mio comune. Qui ci sono partiti come il Patt che hanno pagato un prezzo. Però ci sono partiti come il Pd, che pur caratterizzati in modo molto forte, hanno saputo interpretare il radicamento e fatto un buon risultato. A Lavis, inoltre, s’è realizzato un rinnovamento generazionale...

Senza «cantieri»...
«Ma no, anche con i “cantieri”. Lavis è un esempio che ci aiuta a radicarci su quote di elettorato su cui oggi non riusciamo a farlo. Non entro nel dibattito interno di quel partito (l’Upt, ndr). A Lavis la terza gamba ha preso atto di essere in difficoltà, ma ha valutato ragionevole stare dentro una proposta politica chiara. Risultato buono per tutti. E questo ragionamento l’han fatto i giovani».

A Trento, il centrosinistra autonomista ha vinto, ma rinnovamento non ce n’è stato. Cos’è mancato?
«Non è mancato nulla. Solo che è andata meno gente a votare, perché le percentuali sono quelle, e i voti sono mancati in un certo campo. A Trento, sono tanti anni che governa una parte e non c’era una competizione calda, come a Rovereto dove i voti sono aumentati, in controtendenza. Ripeto una cosa già detta, che suscitò le ire del centrodestra e anche della mia parte: è importante che in Trentino ci sia una proposta politica alternativa a noi, strutturata. La democrazia è anche di competizione».

Si sente responsabile del mancato accordo di coalizione in più comuni?
«Certamente. Ma ricordo che abbiamo avuti periodi in cui la coalizione si presentava disunita in molti più casi. Questa volta, anzi, ci sono stati casi di ricomposizione, come il citato Lavis».

Non a Cles, dove il Patt s’è tenuto fuori?
«La responsabilità di essere andati divisi è di tutti. A Cles, e anche in altre situazioni, le primarie avrebbero aiutato».

Adesso, la coalizione si misura sulla formazione delle giunte.
«La scelta delle giunte sia in autonomia, come ho potuto fare anch’io, pur sentendo i partiti. Chi deve scegliere non va messo in discussione. Ha fatto bene Andreatta a ricordarlo».

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