Legge elettorale, muro di Renzi. Scontro nel Pd, Speranza lascia

Pd più spaccato che mai dopo il rifiuto, ieri sera nell'assemblea dei parlamentari, del premier e segretario Matteo Renzi di modificare almeno un paio di punti della riforma elettorale. Renzi vuole chiudere i giochi in questo passaggio alla Camera dei deputati, dove il testo è ora in discussione, per evitare il rischio di un nuovo voto al Senato, dati gli strettissimi margini numerici su cui il govenor può contare a palazzo Madama. Ma la minoranza interna del Pd, che come altre aree politiche critica l'Italicum ritenendolo troppo simile al precedente Porcellum (bocciato dalla Corte costituzionale), non ci sta e il capogruppo Roberto Speranza lascia l'incarico.

Nell'assemblea dei parlamentari svoltasi ieri sera, alla fine è passata la mozione renziana, con 190 voti su 310 aventi diritto. La minoranza ha deciso di non partecipare e ha consegnato a Renzi un documento firmato da un'ottantina di deputati nel quale si chiedono almeno un paio di modofiche: il superamento dei sistema con capolista bloccati (scelti cioè a monte dai partiti) da sostituire con le preferenze affidate all'elettore; l'introduzione della possibilità di apparentamenti per il secondo turno. Si tratta di tentativi per rendere più digeribile il testo di legge nato dagli accordi fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi e poi da questi rinnegato dopo il voto per il Quirinale e la fine del Patto del Nazareno fra Pd e Fi.

Si avvicina insomma il momento della resa dei conti nel Pd sull'Italicum. E se Renzi tira dritto («Vi chiedo di chiudere la discussione della legge elettorale votandola»), Speranza, esponente di Area riformista (corrente che unisce la gran parte delle minoranze), se ne va criticando il premier: «Non sono nelle condizioni di guidare questa barca perciò con serenità rimetto il mio mandato di presidente del gruppo e non smetto di sperare che questo errore che stiamo commettendo venga risolto. Credo nel governo e credo nel Pd e nel gruppo, ma in questo momento è troppo ampia la differenza tra le scelte prese e quello che penso».

Molto severo il commento di Pierluigi Bersani: «Non è un tema di disciplina di partito né di coscienza. Se si va avanti così, io non ci sto».

Giannni Cuperlo ricorda: «Alcune modifiche sono necessarie: il ricorso al ballottaggio e il rapporto eletto-elettore. Ma il punto più importante è questo: approveremo una riforma senza opposizioni. Ci conviene operare uno strappo di questa natura?».

Durissimo il dissidente lombardo Pippo Civati, secondo il quale con l'Italicum, sorta di cavallo di Troia, si introdurrebbe in Italia un sistema presidenziale di fatto: «Semplicemente i parlamentari devono votare una legge elettorale che di fatto cambia la forma di governo (senza dirlo) e che ha mille difetti. Ai sensi dell’articolo 67 possono farlo come si sentono di fare. E quanto al mandato elettorale, nel 2013 il nostro programma non prevedeva nulla di tutto questo. Iniziava così: vogliamo superare la fase dell’uomo solo al comando. Su questo abbiamo chiesto i voti agli elettori. Non abbiamo vinto, ma per vincere e avere un nuovo mandato elettorale, ci vogliono le elezioni. Altrimenti il mandato rimane quello».

Nessun dramma, è solo un voto. Importante. Un voto del quale i parlamentari risponderanno ai cittadini, quando si tornerà a votare, appunto

Rimane da vedere come si tradurrà l'atteggiamento della minoranza prima in Commissione e poi in aula, dove permane l'ipotesi della fiducia (confermata da Debora Serracchiani) per evitare i voti segreti.

Proprio l'ipotesi della fiducia ha spinto i capigruppo di Forza Italia, Sel e Lega a rivolgersi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedergli di intervenire nei lavori della Camera. Una richiesta impossibile da essere recepita dal Capo dello Stato, visto che a vigilare sulla legittimità dei lavori della Camera è il suo Presidente e non il Capo dello Stato.

La capogruppo di M5s, Fabiana Dadone, ha invece evitato di «tirar per la giacca» in modo inappropriato il presidente della Repubblica, confermando la sintonia istituzionale emersa dopo l'incontro tra Mattarella e Beppe Grillo il 26 febbraio. «Il Movimento 5 stelle cercherà di migliorare la legge in Commissione, a partire dai punti più problematici, come sulle preferenze» ha detto Dadone, che ha invitato la minoranza Dem a fare asse. Domani scatta il termine per gli emendamenti e si vedranno le possibili convergenze.

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