«Se gli Usa armano Kiev la guerra s'inasprirà»

Se gli Stati Uniti decideranno di armare l'esercito di Kiev, nel sud-est ucraino ci sarà «un'ulteriore escalation del conflitto»: il monito di Mosca ha accompagnato le ultime tese trattative notturne a Minsk del gruppo di contatto (Mosca-Kiev-Osce e separatisti filorussi) in vista del summit di oggi nella capitale bielorussa tra Putin, Poroshenko, Merkel e Hollande, considerato l'ultima chance diplomatica per riportare la pace nel martoriato Donbass dopo la mediazione franco-tedesca.


La vigilia del vertice di Minsk è stata nervosa, contrassegnata da nuove offensive militari reciproche con l'ennesima strage di civili, dall'ennesima esercitazione bellica russa ai confini ucraini, da previsioni e segnali contradditori. E dai toni di sfida russi contro le possibili forniture di armi difensive letali a Kiev da parte degli Usa, osteggiate da gran parte dei Paesi europei: «Cercano di coinvolgere la Russia in un conflitto militare interstatale» e «sfruttando la questione ucraina vogliono un cambiamento del potere» in Russia, ha accusato il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev. Anche un eventuale inasprimento delle sanzioni europee, avvisa il Cremlino, sarebbe un passo «verso la destabilizzazione».


L'unico segnale in parte positivo arriva da Kiev: il portavoce del ministero degli Esteri di Kiev, Ievgheni Perebiinis, ha sostenuto che il governo ucraino è «cautamente ottimista» in vista del vertice di oggi, benchè - ha precisato - sia necessario «anche essere pronti al peggior scenario». In ogni caso, a suo avviso, quella di oggi «non è l'ultima chance» per trovare «una soluzione pacifica» al conflitto. Uno scenario, quest'ultimo, avvalorato da una fonte diplomatica vicina alle trattative, citata da Ria Novosti: per oggi non è prevista la firma di alcun «documento sui risultati del summit. Probabilmente - ha aggiunto la fonte - possiamo aspettarci una dichiarazione congiunta». Tutto fa presagire comunque che il vertice suggelli almeno l'inizio di un processo di pace, se non altro sulla carta, per fermare venti di guerra peggiori e magari congelare il conflitto.


Qualche indizio in questa direzione c'è. Dmitri Peskov, portavoce di Putin, ha sottolineato che i preparativi per il summit «sono in corso» e che la Russia «è veramente interessata» a risolvere la questione ucraina. Un altro segnale importante è l'invio a Minsk del consigliere presidenziale Vladislav Surkov, l'ex ideologo ed eminenza grigia del Cremlino, ritenuto il regista occulto dell'annessione della Crimea e dell'operazione «Novorossia», come era chiamata in epoca zarista la regione ucraina orientale rivendicata ora dai ribelli. Lo stesso Putin aveva precisato nei giorni scorsi che il summit ci sarà se entro oggi si fosse riusciti a trovare un accordo su vari punti. Quelli più controversi restano la definizione della linea del fronte (Kiev ha perso un migliaio di kmq dallo scorso settembre), il controllo delle frontiere russo-ucraine, lo status delle regioni separatiste (in chiave federalista per Mosca, ma Kiev parla solo di decentramento) e le forze di mantenimento della pace: il Cremlino propone bielorussi e kazaki ma Kiev rifiuta ritenendo che si tratti di due Paesi alleati della Russia, mentre l'ipotesi di caschi blu dell'Onu rischia le forche caudine del consiglio di sicurezza, dove Mosca ha diritto di veto.


Intanto, una pioggia di missili si è abbattuta ieri sulla cittadina di Kramatorsk colpendo il quartier generale delle truppe governative nel sud-est ucraino e una zona residenziale. Il bilancio è pesante: le persone che hanno perso la vita sono 15 (almeno 5 i civili) ma i feriti sono decine, 64 secondo l'amministrazione regionale di Donetsk. Ma ieri anche le truppe di Kiev sono passate all'attacco, sferrando la loro controffensiva a est e nord-est di Mariupol.

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