La truffa: mega-indennità Inps e super stipendio all'estero

Per lo Stato italiano erano soltanto dei piloti mandati a casa da Alitalia, Meridiana, Wind Jet e per questo avevano diritto agli ammortizzatori sociali, che nel loro caso potevano arrivare anche ad 11mila euro mensili.

Peccato però che per il resto del mondo erano degli affermati professionisti che continuavano regolarmente a volare, pilotando aerei di compagnie straniere e ricevendo uno stipendio tra i 13mila e i 15mila euro, che si andava così a sommare all’indennità per la disoccupazione.

Protagonisti dell’ennesima truffa alle casse dello Stato scoperta dalla Guardia di Finanza sono 36 piloti, tutti italiani e tutti con una lunga esperienza sugli aerei di linea: quando il settore aereo è andato in crisi e le compagnie del nostro paese hanno cominciato a tagliare, sono stati messi in cassa integrazione. Ma le loro indennità - pari all’80% della retribuzione riferita agli ultimi 12 mesi di lavoro - erano ben diverse da quelle di un operaio: al contributo dell’Inps, infatti, sommavano quello della mobilità e quello previsto dal «fondo volo», istituito nel 2008 a seguito della prima crisi dell’Alitalia. Totale, una somma variabile tra i 3mila e gli 11mila euro al mese, per 7 anni.

Peccato però che disoccupati i piloti non lo erano affatto. Le indagini della Guardia di Finanza di Roma e del gruppo di Fiumicino hanno accertato che i 36 erano regolarmente assunti in compagnie straniere, soprattutto asiatiche e mediorientali, dalle quali percepivano uno stipendio tra i 13 e i 15mila euro al mese. Ma non solo: il contratto con le compagnie prevedeva anche una serie di benefit, come l’alloggio e la retta di iscrizione dei figli a scuola.

I piloti, hanno ricostruito i finanzieri, volavano sempre estero su estero, in modo da non incappare in controlli, ma avevano mantenuto la residenza in Italia per non rischiare di perdere le indennità. E, almeno dal 2009, hanno «dimenticato» di segnalare all’Inps la loro nuova occupazione o hanno presentato false dichiarazioni in cui sostenevano di non avere altri rapporti di lavoro. Una dimenticanza costata alle casse dello Stato almeno 7,5 milioni.

Le indagini sono partite seguendo le tracce lasciate da un soggetto in cassa integrazione, che lavorava per una scuola di volo di Roma, e si sono allargate agli altri piloti, individuati grazie all’incrocio dei dati forniti dallo stesso Inps - che sta collaborando alle indagini - con le informazioni ottenute dalle compagnie straniere che fanno scalo in Italia. L’Istituto di previdenza sociale ha immediatamente sospeso l’erogazione dell’indennità e avviato le procedure per il recupero degli importi percepiti indebitamente. Ma l’inchiesta è tutt’altro che chiusa: i piloti sono stati denunciati alla Corte dei Conti e diverse procure hanno aperto dei fascicoli ipotizzando il reato di indebita percezione dei contributi. Le verifiche della Finanza, inoltre, stanno proseguendo su almeno un migliaio di persone: altri piloti che erano in cassa integrazione ma anche assistenti di volo e personale di terra.

Indagando sui piloti, i finanzieri hanno anche individuato una diffusa evasione alla cosiddetta «imposta sul lusso», la tassa introdotta sugli aerotaxi nel 2012 dal decreto Monti. In sostanza è emerso che le somme pagate dai passeggeri restavano nelle tasche dei vettori che sistematicamente omettevano di girarle al fisco. Da una prima ricostruzione, solo sullo scalo di Ciampino, sarebbero una ventina le società che hanno violato gli obblighi di legge, per un importo di circa 1,2 milioni.

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