Arrestato papà Iaquinta Nel 2010 voleva il Trento

Giuseppe «Pino» Iaquinta, il padre del campione del mondo del 2006 a Berlino Vincenzo e ariete della Juventus, è finito nella rete degli investigatori dell'operazione «Aemilia». Per lui, che a Trento conoscono bene per essersi interessato nel 2010 a rilevare quote della società di calcio del capoluogo in difficoltà nel periodo in cui il presidente rivano Marco Fattinger cercava disperatamente soci per mantenersi in serie D, ci sono accuse precise nell'ambito della ricostruzione per il sisma del maggio 2012. Sono state intercettate risate sul terremoto e sugli affari che si potevano compiere. Lo fanno due personaggi vicini alla cosca Grande Aracri, Blasco e Valerio. Ci sono poi i contatti con la politica, scoperchiati dall'inchiesta «Aemilia», e in una cena del 21 marzo 2012 al ristorante «Gli antichi sapori» di Reggio Emilia, dove si consacrò l'unione tra la politica e l'organizzazione mafiosa, c'era anche lui al tavolo, Pino Iaquinta assieme al consigliere comunale di Fi Pagliani e ad altri arrestati. A pagina 13 della cronaca di Trento, sul nostro giornale, riportiamo le mosse, per acquisizioni di imprese in Trentino di indagati vicini anche al sindaco di Mantova, per infiltrare l'ndrangheta. La procura antimafia bresciana ha disposto il fermo per tre imprenditori calabro-reggiani: Rosario Grande Aracri (fratello del boss Nicolino), il figlio Salvatore Grande Aracri e Gaetano Belfiore, 23enne fidanzato della figlia di Nicolino e nipote di Giuseppe Iaquinta, appunto il padre del calciatore Vincenzo. Pino Iqauinta rimase in ballo per l'acquisizione di quote del Calcio Trento dall'estate del 2010 fino a metà dicembre. Aveva in animo di organizzare a Trento una scuola calcio intitolata al figlio. Una telenovela che si intersecava anche con le mire sulle società calcistiche della Reggiana e del Mantova, in quest'ultima occasione a fianco dell'imprenditore virgiliano Belfanti che poi a Trento sbarcò nel 2011 ma senza l'ingombrante presenza di Iaquinta.

L'OPERAZIONE

Un'operazione antimafia definita «storica» per il nord Italia, con oltre 160 arresti, 200 indagati, 189 capi di imputazione, con il coinvolgimento di politici, imprenditori, forze dell'ordine e giornalisti. Beni per 100 milioni, tra cui un intero quartiere di un comune del Parmense, sono stati sequestrati. La Dda di Bologna e i carabinieri hanno sgominato, in collaborazione con le procure di Catanzaro e Brescia, la «mafia imprenditrice». È questa «la novità dell'indagine», ha detto il procuratore di Bologna, Roberto Alfonso.
L'operazione è per il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, «storica, senza precedenti. Imponente e decisiva per il contrasto giudiziario alla mafia al nord». L'importanza dell'inchiesta, condotta in Emilia dal procuratore Alfonso e dal pm Marco Mescolini, non è solo nei numeri. Per Roberti segna «un momento di svolta nell'azione di contrasto alle cosche ?ndranghetiste nel centro nord», perchè dopo anni di indagine «c'è stata una crescita comune di esperienze. Abbiamo raggiunto un livello di capacità investigativa che prima non c'era». Al vertice del gruppo criminale, per i magistrati, sono in sei: Nicolino Sarcone, Michele Bolognino, Alfonso Diletto, Francesco Lamanna, Antonio Gualtieri e Romolo Villirillo, uomini alla guida della «propaggine emiliana» della cosca Grande Aracri di Cutro. Avrebbero gestito l'associazione mafiosa «nell'intero territorio emiliano come un grande ed unico gruppo ?ndranghetistico con suo epicentro in Reggio Emilia», ha scritto il Gip Alberto Ziroldi.
Dall'indagine, ribattezzata "Aemilia", sono emersi tentativi di influenzare elezioni amministrative in vari comuni: a Parma nel 2007 e nel 2012, a Salsomaggiore nel 2006, Sala Baganza nel 2011, Bibbiano e Brescello nel 2009. Coinvolti diversi politici: il consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia, Giuseppe Pagliani, arrestato, e l'ex assessore Pdl di Parma, Giovanni Paolo Bernini, indagati per concorso esterno, così come l'imprenditore Augusto Bianchini, il giornalista Marco Gibertini e Roberta Tattini, consulente bancario e finanziario.
Agli arresti anche Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo campione del mondo, imprenditore come Bianchini, che ha lavorato nello smaltimento delle macerie del sisma e nella ricostruzione. Il terremoto del 2012 - sul quale non sono mancate, come a L'Aquila, risate intercettate - è stato obiettivo delle cosche. Che sarebbero arrivate anche a coinvolgere nei propri affari rappresentanti delle forze dell'ordine, sette tra poliziotti e carabinieri. Tra questi c'è l'ex autista del Questore di Reggio Emilia, Domenico Mesiano, che avrebbe fatto pressioni, senza esito, su una giornalista del Resto del Carlino, Sabrina Pignedoli, per non pubblicare notizie. E se una cronista è stata minacciata, un altro è stato arrestato per concorso esterno: Marco Gibertini, che si era messo a disposizione di Nicolino Sarcone per interviste in tv e su un quotidiano.
Gli accertamenti hanno svelato insomma una fitta rete di legami tra l'Emilia e la Calabria. Oggi gli arresti, a breve si andrà nei Tribunali. E c'è già qualcuno tra gli investigatori che è preoccupato per la gestione della mole di imputati e legali in strutture inadeguate a contenere numeri record, almeno per l'Emilia. In Lombardia, intanto, la procura di Brescia ha indagato il sindaco di Mantova, Nicola Sodano, che si dice «serenissimo», e l'ex potente senatore reggiano, il Dc Franco Bonferroni; in Calabria, ci sono stati 37 fermi che hanno coinvolto i Grande Aracri e hanno mostrato la capacità della cosca di influenzare i processi e di avvicinare un giudice della Cassazione.

 

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