Sydney, il sequestro si conclude nel sangue

Si è concluso tragicamente il sequestro messo in atto da un uomo all'interno di un caffè Lindt a Sidney nel quale teneva prigioniere circa cinquanta persone: poco fa la polizia ha fatto irruzione nel locale, dal quale in precedenza cinque ostaggi erano riusciti a fuggire.

Nel blitz è stato ucciso il sequestratore, un predicatore islamico cinquantenne di origine iraniana, ma hanno perso la vita anche due delle persone presenti nel bar-cioccolateria. Secondo un primo bilancio, si contano fra gli ostaggi anche quattro i feriti, tre in condizioni definite critiche.

Le immagini in diretta, pochi minuti fa, mostravano i soccorritori che trasportano alcune persone in barella.
Gli ostaggi sono rimasti sequestrati per oltre sedici ore, prima del blitz a opera delle squadre speciali della polizia che sono state costrette a sparare contro il sequestratore.
Secondo quanto riportano i media australiani, Man Maron Monis, era una persona già nota alle forze di sicurezza per aver scritto lettere minacciose alle famiglie dei soldati australiani uccisi» in Afghanistan. Anche i suoi interventi pubblici di propaganda politica e religiosa erano noti, anche perché finiti sui media.

I fatti di Sydney «confermano la globalizzazione di una sfida di questo genere, che cerca di sequestrare l’Islam e di usarlo a fini terroristici, contro la stragrande maggioranza dei credenti islamici», commenta il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, precisando che non risultanio italiani fra gli ostaggi.

Questo sequestro nella cioccolateria Lindt nel cuore di Sydney ha dato corpo a una delle maggiori paure degli esperti di antiterrorismo: la minaccia di un «lupo solitario». E ora molti temono che il 15 dicembre 2014 possa diventare il giorno che cambia per sempre la tranquilla Australia, una perdita dell'innocenza.
La minaccia di un cosiddetto attacco di un lupo solitario era emersa già lo scorso settembre, quando un blitz della polizia, in cui furono arrestate 15 persone, avrebbe sventato un complotto per uccidere e decapitare una persona a caso nel centro di Sydney, possibilmente a Martin Place, di filmare l’esecuzione e poi diffonderla nei media sociali. Pochi mesi prima il Comitato di esperti di controterrorismo australiani e neozelandesi Anzctc aveva segnalato che qualsiasi luogo o evento che attrae folle numerose va identificato come «obiettivo attraente per estremisti religiosi e politici, oltre che per individui scontenti o squilibrati».

Il comitato è particolarmente preoccupato per il modo in cui gruppi terroristici come lo Stato Islamico incitano i seguaci in Paesi occidentali a condurre attacchi da lupo solitario, difficilissimi da individuare e da prevenire. Un attacco con un’arma da fuoco, un coltello o una bomba di solito ha soltanto un obiettivo: uccidere più persone possibile, il più rapidamente possibile. E di mandare un messaggio.
Tuttavia gli sviluppi di oggi, e in particolare la prolungata trattativa con i negoziatori della polizia (l’assedio è durato oltre 16 ore), sembrano contraddire queste analisi.
Secondo l’esperto di terrorismo James Brown dell’Istituto Lowy di Politica Internazionale, molti aspetti del dramma di oggi sembrano anomali rispetto agli spettacolari attacchi terroristici a fini di propaganda, frequenti in altri paesi.
Innanzitutto non vi sono state rivendicazioni da parte di nessun gruppo come lo Stato Islamico e non sembra vi sia un piano coordinato di messaggi per i media.

In luoghi come Kabul e Baghdad, gli attacchi terroristici sono accompagnati da elaborati sforzi per diffondere il messaggio e proclamare il gruppo responsabile. In questo incidente non vi è stato nulla del genere, osserva Brown. A parte la bandiera nera, che peraltro non è una bandiera dello Stato Islamico ma rappresenta una generale espressione di fede nell’Islam, il messaggio o la causa del sequestratore non è chiara. E non vi è stato un ovvio coordinamento oltre il singolo incidente. Secondo l’esperto sembra improbabile che il sequestratore (ucciso nel blitz della polizia che ha messo fine alla presa di ostaggi) fosse ben addestrato. Lo è stato abbastanza da sopraffarli, ma non è riuscito a controllarli tutti: oltre una decina era riuscita a fuggire e altri a comunicare con le persone care.
Il tutto, conclude Brown, suggerisce che si sia trattato di un individuo solitario che ha abbracciato la causa a lui più familiare, senza un piano dettagliato su come concludere la sua azione.

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