Le torture della Cia «Bush sapeva tutto»

Dopo l'11 settembre 2001 «sono stati usati metodi ripugnanti non autorizzati» e non è stato fatto abbastanza «per perseguire le responsabilità di alcuni funzionari che hanno commesso errori»: è il mea culpa di John Brennan (nella foto con Obama) , oggi a capo di quella Cia finita nella bufera per le torture perpetrate nei confronti dei sospetti terroristi di al Qaida sotto l'amministrazione Bush.


Brennan, a cui Barack Obama ha appena rinnovato la piena fiducia, si presenta in conferenza stampa con la volontà di prendere le distanze dal quadro terribile di abusi emerso nel rapporto del Senato americano, anche se non vuole parlare di «torture». «Non ci sono prove. Non c'è modo di sapere se quei metodi abbiano prodotto importanti informazioni di intelligence per evitare nuovi attentati», ha spiegato Brennan. Chi invece non ha alcun dubbio sull'efficacia di quelle tecniche è l'ex vicepresidente Dick Cheney, il «falco» per eccellenza dell'amministrazione Bush, tutt'altro che pentito per i metodi brutali della Cia rivelati nel rapporto del Senato. «Il rapporto è completamente sbagliato». E quei metodi hanno aiutato a «catturare quei bastardi che hanno ucciso 3 mila persone l'11 settembre». «Quei metodi - ha insistito - hanno di fatto aiutato a produrre informazioni vitali per mantenere il Paese al sicuro da ulteriori attacchi». E se a Cheney si chiede delle specifiche, terribili torture denunciate, lui taglia corto: «Quello che doveva essere fatto è stato fatto. Credo che fossimo perfettamente giustificati nel farlo. E lo rifarei in un minuto».


Nessun imbarazzo, dunque. Quell'imbarazzo che paradossalmente in queste ore colpisce Barack Obama, il presidente che nel 2009 pose fine a quell'orrore. Ma che dopo la pubblicazione del rapporto shock del Senato si trova tra due fuochi: da una parte l'esigenza di non entrare in rotta di collisione con la Cia, dall'altra i molti democratici, a partire dall'ala più liberal del suo partito, che accusano la Casa Bianca di voler coprire i responsabili e di non volerli perseguire. A Obama, che pure ha bollato quelle torture come un «tradimento dei valori dell'America», viene inoltre rinfacciato di non essersi pronunciato sull'inefficacia di quelle torture denunciata nel rapporto. Ma il rapporto del Senato non mette in difficoltà solo l'ex presidente Bush e, in misura diversa, Obama, ma anche i potenziali candidati alle presidenziali del 2016. Da Jeb Bush (per ovvi motivi) all'ex segretario di Stato Hillary Clinton, passando per Chris Christie (uno dei primi che anni fa si scagliò contro le torture) tutti tacciono.

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