Riforma del Senato, governo battuto in commissione

Il governo va sotto in commissione Affari costituzionali della Camera sulle riforme costituzionali.Ieri è stato approvato con 22 voti favorevoli, 20 contrari e nonostante il parere negativo del governo un emendamento, presentato dal deputato della minoranza Pd Giuseppe Lauricella, secondo il quale il futuro Senato dei 100 sarà composto esclusivamente da rappresentanti territoriali, senza senatori a vita di nomina presidenziale.

È stato il voto, in dissenso dal suo gruppo, di Maurizio Bianconi, frondista di Forza Italia, quello decisivo per far andare sotto il governo sull'emendamento. Assieme all'esponente azzurro, hanno votato sì M5S, Sel, Ln e diversi deputati Pd anche di primo pian o: Bindi, D'Attorre, Agostini, Lattuca, Meloni, Pollastrini, Cuperlo, Lauricella. Andrea Giorgis (Pd) si è astenuto mentre il presidente della commissione, Sisto, ha votato contro.

Il sì all'emendamento che elimina i senatori di nomina presidenziale dal ddl riforme «è il segnale che sui punti che non sono centrali bisogna lasciare alla commissione la possibilità di discutere e decidere, dato che stiamo rispettando tutti il principio di non toccare i pilastri della riforma», commenta il deputato bersaniano e molto critico verso la lina governativa Alfredo D'Attorre, che si dice convinto che un iter parlamentare sia il mezzo migliore per un percorso rapido.

Stizzita la reazione del premier Matteo Renzi al voto che lo ha messo in minoranza: «Vogliono intimidirmi ma io non cedo. Non mi conoscono, non ce la faranno», ha detto rivolgendosi all'ala critica del suo stesso partito.

La minoranza Pd indica un altro nodo irrisolto: non si sa ancora se il consigliere regionale o sindaco che viene nominato senatore fosse sospeso dalla sua carica elettiva, se sarebbe sostituito o continuerebbe a sedere a palazzo Madama. «Prendiamo il caso di De Magistris, sospeso in base alla legge Severino resterebbe senatore o verrebbe sostituito dal vicesindaco?», domanda Lauricella.

Come noto, la minoranza di sinistra del Pd, così come il movimento Cinque stelle, Sel, la Lega Nord e una parte di Forza Italia, è contraria al disegno di un Senato non più eletto direttamente dai cittadini ma scelto sostanzialmente dai consigli regionali, così come hanno stabilito il premier Matteo Renzi e il Silvio Berlusconi nel famoso Patto del Nazareno.

Se l'incognita principale è rappresentata proprio dai passaggi al Senato delle riforme costituzionali, considerata la precaria maggioranza numerica su cui conta il governo, il passaggio a vuoto di ieri a Montecitorio fa suonare un nuovo campanello d'allarme per palazzo Chigi, sullo sfondo di un'altra partita molto complicata, quella sulla nuova legge elettorale. Una legge che, secondo molti osservatori, potrebbe essere particolarmente urgente, perché se doopo Natale il terreno si dovesse fare sempre più scivoloso per il governo, mentre entreranno nel vivo le manovre per la successione al Quirinale, si farebbe sempre più concreta la prospettiva del ricorso al voto anticipato in primavera.

Sono stati variparlamentari renziani ieri a evocare il voto anticipato, magari con il Mattarellum. E tra le pieghe degli emendamenti alla manovra fanno spuntare pure l’election day a maggio. Se il governo cade - si sfogano - non sarà per colpa del suo immobilismo, ma per gli ‘agguatì della minoranza Pd, che se ne dovrà assumere la responsabilità.

Nel giorno in cui il governo Renzi pareggia - come nota Pippo Civati - i 291 giorni di vita del governo Letta, in commissione Affari costituzionali alla Camera si materializza un asse tra la minoranza Pd e la fronda di FI che rischia di essere pericoloso per la vita delle riforme del Nazareno e per il passaggio, se possibile ancor più delicato, dell’elezione del presidente della Repubblica.

Il governo va sotto su un emendamento sui senatori a vita e intanto al Senato vede la sua legge elettorale sommersa da migliaia di proposte di modifica (solo Roberto Calderoli ne trasporta platealmente 10.500, su tre carrelli). È il segnale che l’obiettivo dell’Ok in commissione entro dicembre e in aula a gennaio alle due leggi è tutt’altro che scontato.

È la dimostrazione, commenta Renzi con i suoi, che la minoranza Pd, pur di «far vedere che esiste», è disposta anche a «votare con Grillo e Salvini». Ma mostrano di non aver compreso, ragionano i renziani, che così non ottengono niente.

La linea non cambia: nessun indietreggiamento, il governo va avanti verso l’orizzonte del 2018 e per iniziare rimedierà in Aula all’incidente sulla riforma costituzionale. Se la minoranza vuole la prova di forza la avrà, spiega un parlamentare. Il leader del Pd non intende farsi impantanare ed è convinto di farcela. Ma, spiegano i renziani, se le riforme si bloccheranno e la «sparuta pattuglia» di oltranzisti dem deciderà di far asse con frondisti di FI, leghisti e grillini per far cadere il governo, se ne assumeranno poi la colpa davanti ai cittadini.

Roberto Giachetti torna a chiedere di trarre subito le estreme conseguenze: «Con amici così a che servono i nemici? Elezioni subito», proclama in un tweet. Ma gli esponenti della minoranza Pd leggono indizi della tentazione di andare a votare, negata da Renzi e Boschi, ancor più che nelle parole di Giachetti, nell’emendamento presentato al Senato dai senatori renziani Marcucci, Collina e dal ‘giovane turcò Verducci, per fissare la data di entrata in vigore dell’Italicum al 2016 e intanto ripristinare il Mattarellum. La mossa viene letta nella stessa minoranza Pd - cui il Mattarellum non è sgradito - soprattutto come una pistola puntata contro il tentativo di frenare l’Italicum di Forza Italia. Ma certo, ragionano, appare anche un modo per sgombrare il campo delle elezioni anticipate dal sistema proporzionale del Consultellum.

Intanto, il fedelissimo renziano Marcucci presenta anche un emendamento alla legge di stabilità per accorpare le regionali e le comunali in un election day a maggio. Un modo per risparmiare soldi e provare ad arginare l’astensionismo, spiegano dalla maggioranza Pd. Ma anche, ribattono dalla minoranza, per aprire una possibile finestra per il voto.

 

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