Diego, la politica per la sua gente

di Luisa Maria Patruno

«A voi e a tutta la popolazione della nostra Regione intendo garantire semplicità ed umiltà, nel solco e nel rispetto della più genuina tradizione di noi gente di montagna». Con queste parole, dopo il saluto in mocheno, Diego Moltrer il 28 novembre dell'anno scorso si rivolse al consiglio regionale nel suo discorso di insediamento alla presidenza dell'assemblea. Era emozionato e felice per un traguardo che voleva dire tanto per lui, ma soprattutto per una valle, la sua «umile valle del Fersina», terra della minoranza linguistica mochena, che prima di Moltrer non era riuscita mai a raggiungere una carica così importante nelle istituzioni provinciali.

È vero, in consiglio provinciale c'era arrivato anche Enrico Pruner, che Moltrer chiamava Heinrich, l'uomo simbolo delle Stelle alpine, tutt'ora venerato dagli autonomisti non solo della Val dei Mocheni, e poi Dario Pallaoro, diventato assessore e presidente del consiglio provinciale, ma entrambi si erano ormai trasferiti, il primo a Trento e l'altro a Pergine, e avevano costruito la loro vita fuori dalla val dei Mocheni, mentre Diego Moltrer non ha mai lasciato la sua Fierozzo-Vlarötz, dove viveva con la moglie Rosanna e i tre figli Lorenzo, Marica e Alessio, e quei paesi della parte sinistra della valle del Fersina, che rappresentano la tradizione e la cultura mochena più profonda e vera, di cui era parte.


Anzi, Diego Moltrer, che il 28 settembre scorso ha compiuto 47 anni, ha deciso fin da ragazzo di seguire le orme del padre Luigi, di cui ha ereditato anche il soprannome «Milordo», sia nel continuare la sua attività imprenditoriale nel settore del movimento terra, che nella politica; entrambi di solida fede autonomista. Luigi Moltrer, scomparso nel 2008, fu infatti sindaco di Fierozzo per 27 anni, Diego ne raccolse il testimone nel 1995 rimanendo in carica per 15 anni, fino al 2010, a dimostrazione del legame fortissimo, la simbiosi, che lega questa famiglia alla sua comunità. Per i Moltrer politica vuol dire portare nel Palazzo i bisogni della «propria gente», per riuscire possibilmente a dare delle risposte, soprattutto alle necessità delle persone più vicine, ai mocheni appunto, poi ai trentini in generale, poi forse agli altri. E siccome Milordo era una persona schietta, che a differenza di molti politici ipocriti, amava parlare chiaro e diceva quello che pensava, nella campagna elettorale per le elezioni provinciali fece scalpore con le sue dichiarazioni contro i fondi per la solidarietà internazionale nel nome del: «Prima i trentini poi, se avanzano soldi, anche gli altri».


Eppure Diego Moltrer, uomo del fare, era tutt'altro che una persona chiusa, montanara, nel senso di isolata dal mondo. Tutt'altro. Sia per carattere che per attitudini e interessi, Milordo era molto espansivo, simpatico, amichevole con tutti e il suo sorriso riflette benissimo questa sua natura. Amava organizzare occasioni conviviali, convinto che a tavola fosse più facile smussare le spigolosità e le frizioni e raggiungere accordi, pur restando fermo, a volte anche in modo ostinato, sulle sue posizioni. Aveva un'empatia particolare con le persone, propria di chi è abituato a stare con la gente, che unita al suo modo diretto di parlare e di fare, lo rese molto popolare e amato, persino dai suoi avversari politici.


Nel 2010, si candidò alle elezioni per le Comunità di valle e fu il più votato con 1.432 preferenze, diventando assessore nell'Alta Valsugana-Bernstol. L'anno scorso, alle elezioni provinciali fu tra i più votati, secondo del Patt con 4.806 preferenze, dietro solo al capogruppo uscente Michele Dallapiccola. Convinto di entrare in giunta, visto il largo consenso raccolto e andato ben oltre la sua val dei Mocheni, alla fine Moltrer dovette accontentarsi della presidenza del consiglio regionale visto che gli equilibri politici in coalizione indussero Rossi a dare un solo assessore al Patt preferendo scegliere un assessore tecnico di sua fiducia.


Ma Milordo era comunque soddisfatto di questo prestigioso incarico che certo non si aspettava e che gli avrebbe subito procurato tanti grattacapi con lo scandalo dei vitalizi. «Mi avevano detto che era un posto tranquillo - scherzava spesso nel pieno della bufera vitalizi - e che non avrei avuto niente da fare». Invece. Invece fu investito della questione più spinosa, ma decise di affrontarla di petto, riprendendo in mano il pallino dopo che i presidenti delle due giunte, Rossi e Kompatscher, avevano assunto per primi l'iniziativa, fino ad arrivare alla modifica della legge con cui si è deciso di riportare nelle casse della Regione 29 milioni di euro. E soprattutto era deciso a tenere testa alla rabbia degli ex consiglieri regionali e a non farsi intimorire dalle loro minacce di ricorsi - che poi ci sono stati - e anche di denunce penali. Era amareggiato e deluso - soprattutto da quelli tra questi ex che più stimava come Durnwalder - ma anche determinato ad andare avanti e a cercare gli avvocati più brillanti, perché sapeva bene che era questo che i trentini si aspettavano da lui.

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