Boeri: «Bankitalia, troppa fretta»

L'operazione Bankitalia contenuta nel decreto sull'Imu andava fatta, ma forse in altro modo: e ora la fretta rischia di costare cara. A dirlo è il professor Tito Boeri, docente all'Università Bocconi di Milano, economista della Voce.info e direttore del Festival dell'Economia di Trento. Intervistato ieri mattina su Radiotre a «Tutta la città ne parla», Boeri ha spiegato la sostanza del decreto, criticando il governo

L'operazione Bankitalia contenuta nel decreto sull'Imu andava fatta, ma forse in altro modo: e ora la fretta rischia di costare cara. A dirlo è il professor Tito Boeri, docente all'Università Bocconi di Milano, economista della Voce.info e direttore del Festival dell'Economia di Trento. Intervistato ieri mattina su Radiotre a «Tutta la città ne parla», Boeri ha spiegato la sostanza del decreto, criticando il governo.
«C'era bisogno di riformare Bankitalia per il problema irrisolto delle quote - ha esordito il professore -: un tempo le banche che facevamo parte del settore pubblico allargato detenevano quote del capitale pubblico di Bankitalia. Poi molti di questi istituti sono stati privatizzati e oggi solo circa il 5% del capitale di Bankitalia è detenuto da enti pubblici».
Dunque andava riportato un equilibrio nella governance, partendo da due considerazioni: «La prima: non era chiaro come queste partecipazioni dovessero essere remunerate - continua Boeri -, e quindi c'era sempre il rischio in qualche modo che ci fossero delle pressioni per ottenere una remunerazione più alta da parte della Banca d'Italia; in secondo luogo, c'era il rischio che alcune di queste banche che avevano quote più importanti di altre potessero in qualche modo condizionare l'attività di Bankitalia, anche se ciò non è mai avvenuto in tutti questi anni».
Venendo alla soluzione adottata, Boeri spiega che «si è scelto di porre un limite del 3% alle quote detenute da diverse banche (Intesa S. Paolo per esempio ora ha il 30,3%, ndr), attraverso un "buy back", ossia sarà la banca nazionale a ricomprare le quote in eccesso, poi le metterà presumibilmente sul mercato; poi si è stabilito un tetto alla remunerazione massima di queste quote, che impedisce richieste eccessive. Alcune banche avevano infatti iscritto a bilancio dei valori di partecipazione che legittimavano il fatto che volessero partecipare a tutti gli utili di Bankitalia. In realtà, Bankitalia fa degli utili legati al fatto che si muove in una situazione di monopolio, per esempio proventi da signoraggio. Non ha senso che degli enti privati partecipino a proventi di questo tipo».
Ma quali sono i punti critici? Secondo Boeri, «il rischio di tutta questa operazione è che si è dato un valore a queste quote che per certi aspetti potrebbe sembrare eccessivo (7,5 miliardi), con il pericolo che Bankitalia ricomprando ora le quote rivalutate non riesca a rivenderle allo stesso livello, e quindi ci sia una perdita netta per i contribuenti». Il secondo rischio è che «la redditività assegnata a questi titoli sia troppo alta rispetto al passato e anche questo espone il contribuente al rischio di dover pagare di più».
Quindi, dice Boeri, «l'operazione andava fatta con più calma e andava assolutamente slegata dall'Imu: Banca d'Italia è un'istituzione fondamentale per questo Paese e non meritava di essere messa in mezzo a questa bagarre ignobile che c'è stata sull'Imu». Il fatto è che «il governo ha voluto accelerare per ottenere le risorse necessarie a finanziare la sospensione dell'Imu, invece di affrontare un problema che meritava maggiore ponderazione».
Ma come cittadini ci dobbiamo preoccupare della trasformazione in una public company che però sarà sostanzialmente nelle mani di banche e fondazioni bancarie? «No - rassicura l'economista di lavoce.info - visto che non ci sono state interferenze con banche che detengono ora oltre un quarto del capitale di Bankitalia. Questo non è un problema, il problema è semmai quello dei costi di questa operazione che andranno attentamente monitorati, soprattutto nella fase di buy back».

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