Manovra, Monti si dimette

Il processo di scomposizione e ridefinizione dell'area dei moderati si abbatte su Scelta Civica. Nel gruppo scoppia una guerra tra le componenti (popolari e liberali, cattoliche e riformiste) che ha come esito la conta delle forze in campo e la scelta estrema del leader: Mario Monti si dimette, in aperta guerra contro l'ala dei popolari capitanata da Mario Mauro

Il processo di scomposizione e ridefinizione dell'area dei moderati si abbatte su Scelta Civica. Nel gruppo scoppia una guerra tra le componenti (popolari e liberali, cattoliche e riformiste) che ha come esito la conta delle forze in campo e la scelta estrema del leader: Mario Monti si dimette, in aperta guerra contro l'ala dei popolari capitanata da Mario Mauro.
La deflagrazione avviene, complici le avances che il gruppo dei popolari fa ai moderati del Pdl sulla legge di stabilità e sulla designazione del candidato per l'Antimafia. Due nodi che portano allo scoperto una guerra intestina che cova da settimane. «In questi giorni - attacca Monti - il senatore Mario Mauro, con dichiarazioni e iniziative, è venuto preconizzando, da un lato, una linea di appoggio incondizionato al Governo (naturale in chi fa parte), ma che non è la linea di Sc. Dall'altro, il superamento di Sc  in un soggetto politico aperto anche a forze caratterizzate da valori e prassi di governo inconciliabili» con quelli di Sc. Il primo dei riferimenti è alle posizioni, sostanzialmente critiche, di Scelta Civica sulla legge di stabilità.
Ma conta anche il patatrac in commissione antimafia, con il candidato presidente Lorenzo Dellai «silurato» proprio da uno dei tre componenti di Scelta civica in commissione, l'imprenditore catanese Andrea Vecchio. Vecchio è dalla parte di un gruppo di una dozzina di deputati su un totale di 47 (lui dice «la metà del gruppo») di matrice liberale. Un gesto forte che provoca, a valanga, l'asserragliamento delle forze in campo.
Ma non finisce qui perché di lì a poco scoppia la grana sulla manovra. Il montiano Enrico Zanetti attacca sulla pressione fiscale: la manovra contiene «almeno 10 miliardi in più di tasse». Dall'altra il ministro Mario Mauro chiede sostegno: «I partiti che manifestano mal di pancia per la legge di stabilità non sono coerenti con la fiducia che hanno espresso al governo Letta». La dichiarazione non può non colpire al petto Mario Monti. «Mauro, che grazie a Monti è diventato prima capogruppo al Senato, poi "saggio" e infine ministro, dovrebbe essere in prima linea a sostenere il progetto di Scelta Civica, distinto e distante da quello di Berlusconi e Alfano (con cui ha pranzato ieri) e di Casini», maligna Gianfranco Librandi. Ma non è finita. Di lì a poco 11 senatori di Sc si schierano con Mauro e puntano l'indice contro i «troppi distinguo opportunistici». Poi, come se non bastasse, inviano al capogruppo Susta una lettera in cui chiedono una «verifica politico-programmatica» nel gruppo. E alle 11 firme dei senatori si aggiunge anche quella del ministro Mauro: «Non posso non intendere la dichiarazione degli "undici più uno" senatori come una mozione di sfiducia nei miei confronti» prende atto Monti che rassegna così le dimissioni. Dimissioni che in molti confidano ritiri. «Siamo chiamati a dare prova di nervi saldi e di tenuta politica» dice lo stesso Dellai. Il rischio è che anche le truppe di Sc si dividano in due tronconi, con una mini-pattuglia che al Senato, ma anche alla Camera, potrebbe seguire Monti. Resa dei conti martedì prossimo, quando si riunirà l'assemblea di Sc.

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