Lampedusa contesta: «Letta e Barroso vergognatevi»

Quei 300 morti nell'hangar dell'aeroporto sono un'immagine che non si dimentica, un pugno nello stomaco per Enrico Letta e Josè Manuel Barroso che ripartono da Lampedusa con una serie di promesse assai impegnative e una certezza: il nodo dell'immigrazione, quell'esodo costante dai paesi del nord Africa, dall'area subsahariana e dal medio Oriente squassati da guerre, fame, rivoluzioni, deve diventare tema centrale della politica europea

Quei 300 morti nell'hangar dell'aeroporto sono un'immagine che non si dimentica, un pugno nello stomaco per Enrico Letta e Josè Manuel Barroso che ripartono da Lampedusa con una serie di promesse assai impegnative e una certezza: il nodo dell'immigrazione, quell'esodo costante dai paesi del nord Africa, dall'area subsahariana e dal medio Oriente squassati da guerre, fame, rivoluzioni, deve diventare tema centrale della politica europea.
Sono le 10 quando l'aereo presidenziale atterra sull'isola e il mare ha appena restituito i corpi di altre otto vittime. Alla fine della giornata ne avranno recuperati 14, facendo salire il totale a 302. Il tempo di ricevere il saluto della sindaca Giusi Nicolini e alle orecchie del premier e del presidente della Commissione europea, accompagnati dalla commissaria Cecilia Malmstrom e dal ministro dell'Intero Angelino Alfano, arriva l'urlo dei manifestanti assiepati fuori dall'aeroporto, qualche decina di ragazzi: «Assassini, buffoni, vergogna. Andate a vedere come vivono i migranti nel Centro». Una contestazione vivace alla quale si aggiunge, davanti al Comune poco più tardi, quella dei pescatori e dei commercianti, esasperati da anni d'abbandono. «Questa è l'isola dei diritti negati» recita uno striscione che tutti vedono e leggono.
Letta e Barroso non fanno una piega, sapendo bene che la politica ha fin troppe responsabilità in questa strage d'innocenti. E infatti, appena arrivato in conferenza stampa, il premier chiede scusa «per le inadempienze e le mancanze del nostro Paese, del governo e delle istituzioni, rispetto ad una tragedia come questa, una tragedia immane mai accaduta nel Mediterraneo». Parole che la Malmstrom fa sue, sottolineando con un tweet che quelle bare nell'hangar «non sono degne dell'Europa». La stessa Europa che in questi anni ha lasciato sola l'Italia e soprattutto si è disinteressata completamente dei migranti. Barroso lo dice chiaramente: «Non possiamo più girarci dall'altra parte: l'Ue è con la gente di Lampedusa e dell'Italia; il problema deve essere percepito come problema dell'Europa. Tutti insieme possiamo fare qualcosa per impedire ed evitare che vi sia sofferenza e morte». Il primo passo sono 30 milioni che, dice Barroso, l'Ue metterà a disposizione «per aiutare i rifugiati in Italia».
Le altre cose da fare le decideranno le istituzioni europee nei prossimi incontri, ma la road map imposta dalla tragedia è già un mezzo successo, se è vero, come dice la Malmstrom, che ci sono voluti 14 anni solo per avere una politica comune sul diritto d'asilo. Una strategia concordata con il capo dello Stato Giorgio Napolitano che anche ieri da Cracovia ha ribadito che quella di Lampedusa è «giustamente» definita una tragedia europea.
L'Italia spinge dunque su Bruxelles e incassa due risultati positivi: l'ok del presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy per intavolare al prossimo vertice dell'Ue in programma a fine ottobre una discussione sul tema e l'invito rivolto all'Europa da Francois Hollande per un piano d'azione articolato su prevenzione, solidarietà e protezione dei rifugiati. Ma Letta sa bene che i nodi non sono solo in Europa, che la nostra legislazione in materia di immigrazione e diritto d'asilo è a dir poco lacunosa e repressiva. Quando gli chiedono se si interverrà sulla Bossi-Fini, il premier non può che glissare: «Discuteremo, approfondiremo, rifletteremo e troveremo le risposte giuste» ma sull'iscrizione dei superstiti del naufragio nel registro degli indagati dice: «Come capo del governo, ho provato un senso di profonda vergogna di fronte allo zelo». Parole che mandano su tutte le furie il procuratore d'Agrigento Renato di Natale: «Non si tratta di zelo ma di rispetto delle regole volute dal parlamento».
L'altro strappo della giornata Letta lo fa imponendo una visita lampo al Centro di accoglienza: «Il Centro non è degno di un paese civile. Li dentro ho visto sofferenza e dolore. Interverremo al più presto».
Una sofferenza che nulla è in confronto a quella che si respira nell'hangar dove sono allineati i morti senza nome. Letta si inchina davanti alle bare bianche dei bambini e annuncia che, per quei morti, ci saranno funerali di Stato. Quando? «A questa domanda non so rispondere». Non prima che il mare abbia restituito gli altri sessanta corpi che ancora giacciono dentro quel maledetto peschereccio.

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