Dellai: «Ora l'autonomia potrà rafforzarsi»

Lorenzo Dellai, capogruppo a Montecitorio di Scelta civica, è soddisfatto del governo Letta, «il miglior esito possibile» dello scenario uscito dalle urne. Un plauso che diventa ottimismo sulle prospettive dell'autonomia speciale, dopo una stagione di rapporti piuttosto tesi con il potere centrale. «Il governo - spiega l'ex presidente della Provincia - è guidato da una persona che conosce le nostre peculiarità e che ha dimostrato di apprezzarle. Possiamo avere fiducia, ma ciò non significa dormire sonni tranquilli»

di Zenone Sovilla

Lorenzo Dellai, capogruppo a Montecitorio di Scelta civica, è soddisfatto del governo Letta, «il miglior esito possibile» dello scenario uscito dalle urne. Un plauso che diventa ottimismo sulle prospettive dell'autonomia speciale, dopo una stagione di rapporti piuttosto tesi con il potere centrale. «Il governo - spiega l'ex presidente della Provincia - è guidato da una persona che conosce le nostre peculiarità e che ha dimostrato di apprezzarle. Possiamo avere fiducia. Ciò non significa dormire sonni tranquilli, considerando i possibili riflessi della congiuntura economica sull'ente pubblico. La speranza, tuttavia, è di poterci inserire positivamente nel processo costituzionale annunciato dal governo».
 

Ci sono le premesse per un nuovo passo in termini di competenze provinciali?
«Abbiamo sottoposto da tempo le nostre proposte allo Stato e ora mi attendo che si riprenda il lavoro anche nella commissione dei Dodici, per ultimare il disegno cominciato con l'accordo di Milano del 2009. Trentino e Alto Adige sono pronte a un confronto per completare il quadro delle competenze provinciali e aggiornarne gli aspetti finanziari. Si tratta di un percorso di dialogo con l'esecutivo nel quale si potrà valorizzare il ruolo dei nostri parlamentari e in particolare dei capigruppo».
 

A proposito, la vedremo ancora in questa veste o forse accanto a Letta?
«Sarebbe di certo interessante lavorare nel governo, tuttavia reputo fondamentale potermi occupare del raccordo tra Parlamento e esecutivo, uno snodo fondamentale di questa delicata stagione politica. Peraltro, il premier ha già annunciato la nascita di una sorta di cabina di regia composta da lui, dal ministro dei rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, e dai sei capigruppo delle tre forze di maggioranza: un organismo che si riunirà ogni settimana per l'esame dei principali provvedimenti proposti dal governo».
 

È annunciata la convenzione sulle riforme istituzionali: lei aspira a portare in quell'assemblea la voce delle autonomie?
«È un capitolo ancora prematuro, al momento non è chiara nemmeno la natura di questo strumento legislativo. Comunque sia, si tratterà di una sede che dovremo presidiare con attenzione, perché ne potranno derivare decisioni con effetti significativi sul futuro della nostra autonomia. Non dimentichiamo che qui si respira ancora un'aria di ritorno al centralismo, malgrado ci sia una richiesta trasversale di autogoverno dei territori. E gli equilibri numerici in Parlamento rappresentano un rischio, nel senso che i voti degli automisti non sono determinanti; però, avremo l'opportunità di rafforzarci, se sapremo proporre il nostro modello anche come via di uscita concreta, dopo il fallimento delle precedenti riforme di segno federalista. In altre parole, potremmo finalmente abbandonare una linea difensiva, non essere più come gli ultimi giapponesi a difesa dell'isoletta. Si tratterà di lanciare a livello nazionale una grande visione di rinnovamento istituzionale della quale siamo interpreti diretti, sullo sfondo dell'Europa delle autonomie, a cominciare proprio dall'arco alpino e dalle sue specificità».
 

A proposito di montagna, dieci giorni fa un altro comune bellunese, Taibon Agordino, ha espresso la volontà popolare, in un referendum costituzionale, di lasciare il Veneto per passare al Trentino. Una nuova pagina della lotta autonomistica della vicina provincia dolomitica che lei da tempo segue da vicino e incoraggia.
«Certo, qui non si tratta di modificare i confini: quei voti sono uno strumento di pressione politica. Parliamo di una terra interamente di montagna, incastonata in una regione di pianura (il Veneto), una terra che vive un grave deficit di autogoverno mentre deve affrontare criticità socioeconomiche tipiche delle aree alpine, come il rischio di spopolamento. La mia convinzione, per la quale mi batterò in Parlamento, è che le province interamente montane, come il Bellunese, debbano essere dotate di poteri di autonomia speciale, nell'ambito delle prossime riforme istituzionali. Se così non fosse, non saremmo mai in grado di creare quella rete delle autonomie dell'arco alpino che rappresenta un contesto centrale per il nostro stesso futuro. Sono stato diverse volte dagli amici bellunesi: vi ho trovato le comuni radici alpine, la stessa dedizione al territorio, le stesse consuetudini della montagna e anche istituzioni tradizionali come le nostre, a cominciare dagli usi civici. È evidente che anche per noi è importante avere dei vicini dotati di un forte autogoverno, con i quali relazionarci e collaborare. Trento e Bolzano dovranno essere, anche per senso civile, i capofila di questa battaglia dei bellunesi».
 

Ma Roma può comprendere la delicatezza e la profondità dei problemi della montagna?
«Qui il discorso è semplice: le istituzioni devono adattarsi alla realtà dei territori, non si può ragionare alla rovescia, pensando che una riforma possa calarsi allo stesso modo in grandi aree metropolitane e nelle valli alpine caratterizzate, per ragioni orografiche, da bassa densità e polverizzazione abitativa, con tutte le inevitabili conseguenze in termini di organizzazione degli enti e dei servizi locali».
 

E questo governo avrà davvero il tempo di affrontare le grandi riforme?
«Credo che Letta abbia saputo indicare un orizzonte insieme di verità e di speranza, consapevole dell'urgenza di intervenire sul lavoro e sull'impresa, anche riducendo la pressione fiscale, per rispondere alla grave situazione sociale. Poi molto dipenderà dalla disponibilità della Ue a modificare la rotta verso politiche di espansione economica. Se poi incrocerà anche qualche cenno di ripresa, il cammino del governo potrebbe semplificarsi un po'. Comunque vada, che duri tre mesi o due anni, questo esecutivo era l'unico sbocco possibile di responsabilità nazionale e potrebbe aiutare il Paese a lasciarsi alle spalle un ventennio di dure contrapposizioni».

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