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Giacomo Matteotti: 100 anni fa il delitto di regime che svelò il vero volto del fascismo/4

Da decenni sappiamo che il capo dei sicari aveva raccontato, la sera stessa del delitto, come il rapimento si era trasformato in omicidio; il fatto era stato riferito al Duce che, probabilmente, avvertì i suoi ministri che gli assassini erano fascisti
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di Luigi Sardi

L’ arresto degli uomini della “Ceka”, quel manipolo di violenti al servizio di Mussolini e la serie di testimonianze sul rapimento - divenuto omicidio - aveva suscitato un’ondata di stupore e di sdegno in tutto il Paese così forte da mettere in crisi il governo fascista. Vennero organizzati cortei e dimostrazioni di protesta; i giornali uscirono con ripetute edizioni straordinarie, urlate nelle vie della grandi città da masse di strilloni e andarono rapidamente a ruba. Mussolini, per allentare la crescente pressione, impose a Rossi, Marinelli e persino il senatore e Quadrunviro De Bono capo della Polizia di Stato, di dimettersi dalle cariche ricoperte; Aldo Finzi, chiacchierato anche per il suo mai spiegato coinvolgimento nella questione della gestione delle case da gioco e - pare solo per una maldicenza in quelle di tolleranza all’epoca gestite dallo Stato - venne destituito dalla carica di sottosegretario del Ministero degli Interni.

La situazione del fascismo diventava, edizione dopo edizione dei quotidiani, sempre più critica e “Il Brennero” con il titolo “I profittatori del delitto - Speculatori” si scagliava “contro i popolari (il partito di Degasperi, nda) responsabili di una speculazione che non potrebbe essere più bassa e pericolosa… e tuttavia questa speculazione vene rapportata su un fatto di cronaca nera”. Insomma per il giornale fascista il rapimento si configurava come un crimine della malavita, “un fatto deplorato e volgare…Ormai intorno ad un cadavere, si balla una danza di speculazione faziosa… l’ Unità si mostra più decisa dell’ Avanti! e propone addirittura lo sciopero nazionale contro lo spettro del Fascismo” per concludere l’articolo con un “Orbene, sappiano cotesti figuri, come sappiano quanti rendono possibile tanta sfrontatezza, che il Fascismo è in piedi e che è quanto mai deciso a difendere il suo buon diritto da ogni insidia e da ogni colpo mancino. A buon intenditore…”.

E’ con il titolo “Larve in tumulto” che il giornale fascista che aveva sede in via Roma 25, se la prende con “gli speculatori del delitto” scrivendo: “Noi che rispettiamo il dolore e chiediamo giustizia, potremmo presentare parecchie migliaia di fotografie di famiglie fasciste disgraziatissime” evidentemente con congiunti vittime degli “Arditi del Popolo” per aggiungere: “Tra i profittatori più inquieti del delitto, che ha commosso sinceramente il fascismo e insinceramente molti dei suoi avversari che abbiamo veduto fregarsi le mani di soppiatto nei corridoi di Montecitorio, a questo ottimo appiglio per screditare il regime, dobbiamo additare quei buoni cristiani che si annidano dietro l’insegna dello scudo crociato… sono quelli che maggiormente gavazzano sulla salma lacrimata dell’on. Matteotti a scopo evidente, sfacciato, nauseane di speculazione partigiana… Abbiamo sentito dire in questi giorni che a Montecitorio si aggirasse per offrire i suoi servizi alle opposizioni riunite, il noto spacciatore di cocaina, il disonorevole Mingrino (nei guai con la giustizia per aver rifilato cocaina ad un commissario di Polizia, nda). Ma il fascismo è in piedi. E vigile”. Mussolini scriveva nelle sue note: “Io grido l’alt con queste precise parole: se dall’episodio tristissimo si cercasse di inscenare una speculazione di ordine politico che dovrebbe investire il Governo, si sappia chiaramente che il Governo punta i piedi, che il Governo si difenderebbe a qualunque costo”. Intanto ordina il concentramento di tre Legioni della Milizia a Roma, avvertendo i suoi fedelissimi “che il pericolo di una rivolta di piazza è scomparso, il tentativo di sciopero generale è abortitissimo” e il tutto si ridurrà a dieci minuiti di silenzio fissati per il 27 giugno, come omaggio a Matteotti.

La reazione alla scomparsa di Matteotti sarebbe stata la più normale, immediata, vistosa, classica: lo sciopero generale. Che, probabilmente, non spaventò il capo del fascismo. Per l’esperienza maturata nel suo passato di leader della sinistra, sapeva benissimo che i compagni avrebbero sbarellato. Pietro Nenni con un altro socialista Ottavio Pastore discussero a Milano, nella sede della Camera del Lavoro la sera del 13 giugno, attorno al progetto che, se riuscito con una forte astensione dal lavoro, sarebbe stata una sconfitta del fascismo. Ma non si trovò la necessaria coesione e alla fine, con l’opposizione dei comunisti, fu decisa un’astensione dal lavoro simbolica per il giorno dei funerali. O meglio, ogni decisione sullo sciopero generale era stata aggiornata e, secondo alcune versioni, Mussolini che conosceva bene i suoi ex compagni, comprese che quell’aggiornamento precludeva ad un nulla di fatto. Poiché non si era ancora trovato il corpo, lo sciopero era stato rinviato per il trigesimo della scomparsa ed era stato, lo riferisce sempre De Felice, di soli 10 minuti. Sono ore frenetiche; la posizione di Mussolini si faceva difficile; gli avversari potevano, forse, scalzare il fascismo che cominciava a sgretolarsi e minacciava di crollare. La scomparsa del parlamentare - fu subito chiaro che era stato ucciso - aveva causato un’enorme impressione e tutti avevano capito che il crimine era nato dal fascismo e che i mandanti - come scrisse don Sturzo - erano i pretoriani del Duce.

Commosse e spaventò gli italiani; tutti avevano capito che i tanti atti di violenza non potevano essere sporadici, da addebitarsi a quegli ex combattenti che pensavano ancora di essere in trincea, ma che avevano un comune denominatore, appunto nel fascismo e nel suo caporione. Cioè Mussolini. Così quel movimento inteso come portatore di restaurazione morale, era diventato un’associazione a delinquere contro i dissidenti e persino contro quelle persone eletti dal popolo. Nel 1966 De Felice scrisse che “il delitto apri gli occhi alla maggioranza, che arretrò, non tanto commossa dal misfatto, quanto atterrita e sgomenta da esecutori e mandanti”. A rendere più confusa e crudele la tragedia, alcuni giornali per aumentare le tirature già enormi, diffusero notizie totalmente false. Anche se il corpo non era stato trovato, si parlò di decapitazione, di evirazione, di esibizione di parti mutilate. Persino che era stato ritrovato, ma tenuto nascosto. Falsità che indussero Degasperi a scrivere che bisognava controllare ogni notizia ricevuta. Intanto diventavano più insistenti le voci di un intervento militare guidato dal Re, di un cambio di Governo, ma l’aspetto che più aveva impressionato, era la notizia che all’ ordine di mobilitazione di alcune legioni della Milizia, moltissimi militi non avevano risposto alla chiamata e molti, che si erano dichiarati apertamente fascisti e ostentavano il distintivo, la famosa “cimice”, si dissociarono. Magari credendo di annusare un imminente cambiamento di regime. Insomma, meglio trovarsi preparati. Negli appunti del Duce riportati da De Felice, si legge la determinazione di Mussolini.

“Il Senato mi vota la fiducia con 225 voti favorevoli, 21 contrari, 6 astenuti. Voto importantissimo, oserei dire decisivo. Il Senato, in un’ora difficile, nel pieno della tempesta politica e morale, si schierava quasi unanime con il Governo. Ciò serviva di indicazione alla Corona” ma non ci sarebbe traccia di un intervento di Sua Maestà Vittorio Emanuele III. A proposito del Re. Nei giorni cruciali della crisi era a Madrid in visita ufficiale. Tornato a Roma partì subito per la tenuta di San Rossore presso Pisa, in riva al mare dove le notizie arrivavano un po’ in ritardo e un tantino smorzate. Come raccontò a guerra finta e per il settimanale “Tempo”, una nobildonna che era stata dama di compagnia della Regina, la Elena di Montenegro. Ma se il Senato era ormai a posto, cioè aveva definito il suo atteggiamento e si era ormai inesorabilmente impegnato con Mussolini, a Montecitorio la maggioranza parlamentare “appariva incerta e bisognosa di una parola di conforto”. Come si legge negli appunti del Duce. Dunque i deputati in camicia nera erano scossi per quello che ormai - visto il tempo trascorso dal rapimento - appariva come un delitto consumato e dall’ipotesi che la “lurida faccenda” come, secondo alcune fonti, disse D’Annunzio dal Vittoriale, fosse stata organizzata dal capo le fascismo. Aggiunge il Duce: “C’era bisogno il bisogno di una parola che pronunciai il 25 giugno, nella Sala del Concistoro, a Palazzo Venezia, presenti ben 341 deputati su 381. E’ in questo discorso che io sementisco l’esistenza della Ceka, che dichiaro che non è nemmeno da pensare allo scioglimento della Milizia e della Camera e dico testualmente: A tutte le richieste dell’opposizione, credo che il Governo possa rispondere con un no fermo categorico solenne. A proposito della secessione Aventiniana dichiaro che la maggioranza non può subire il ricatto delle minoranze”. Un’ ultimo appunto: “Per acclamazione viene votato il seguente ordine del giorno. La maggioranza parlamentare, udite le dichiarazioni del Capo del Governo, gli riconferma la sua piena fiducia e devozione.”

Scrisse l’11 luglio don Luigi Sturzo il fondatore dei Popolari, partito sciolte nel 1926 e rifondato nel 1943 grazie ad Alcide Degasperi: “La tragedia di Matteotti” è l’episodio che “ha rotto l’incanto, ha svelato la turpitudine del retroscena ministeriale, ha fatto venire a galla elementi ignoti alla maggior parte del Paese, ha fatto rivalutare tanti delitti impuniti, ha creato così l’ambiente morale per una espiazione e per una purificazione”. La protesta dell’Aventino, già formalizzata il 27 giugno tra i partiti politici democratici in un’aula di Montecitorio, indusse Sturzo ad un’aspra critica dei clerico-fascisti responsabili di appoggiare il governo fascista e la truffa delle elezioni di aprile.

( 4. continua )

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