«Bello stare in salita  con Purito e Contador»

Non sempre nel ciclismo è sufficiente dimostrare nelle categorie giovanili di essere ottimi atleti per avere il lasciapassare al professionismo. La storia è piena di corridori promettenti e vincenti rimasti laconicamente in stazione al passaggio del treno per il ciclismo che conta. Questo rischio l'ha corso seriamente Patrick Facchini, 26 anni il prossimo gennaio, quando nel 2010 rimase azzoppato da una frattura di femore in quella che doveva essere la stagione della sua consacrazione

di Pietro Gottardi

ciclismoTRENTO - Non sempre nel ciclismo è sufficiente dimostrare nelle categorie giovanili di essere ottimi atleti per avere il lasciapassare al professionismo. La storia è piena di corridori promettenti e vincenti rimasti laconicamente in stazione al passaggio del treno per il ciclismo che conta.
Questo rischio l'ha corso seriamente Patrick Facchini, 26 anni il prossimo gennaio, quando nel 2010 rimase azzoppato da una frattura di femore in quella che doveva essere la stagione della sua consacrazione.
Grande forza di volontà, doti atletiche notevoli, classe e la vicinanza di mamma e papà (che non scorda mai di ricordare) hanno permesso a questo passista-scalatore di Roncone di ripartire da zero e risalire la china nell'arco di due anni, agguantando l'agognato passaggio al professionismo dopo l'ultima stagione da élite (2012) costellata da ben 8, pesantissime vittorie.
A dargli la chance di dimostrare il suo valore fra i grandi è stato Gianni Savio, che per il 2013 l'ha voluto all'Androni Giocattoli. Una scelta oculata, di cui il «Principe» potrebbe raccogliere i frutti nel 2014, anno nel quale Facchini pare vestirà già i panni dell'uomo di classifica per la sua squadra al Giro d'Italia. In attesa che la strada confermi gli embrionali piani stagionali di fine novembre, Patrick prepara il 2014 nella serena consapevolezza dei propri mezzi.
«La conferma che cercavo, io l'ho trovata alla Milano-Torino, sull'ultima salita - rivela Patrick -. Lì eravamo rimasti una quindicina e a 700 metri dallo scollinamento, poche centinaia di metri dopo l'ultimo violento cambio di ritmo, mi sono girato e ho visto Valverde, Rodriguez e Contador accanto a me. Io facevo fatica, ma sentivo che anche loro, tre dei corridori più forti del mondo, erano in affanno. Dentro di me ho provato un'enorme soddisfazione: vuol dire che tra i "prof" ci sto bene, mi sono detto. Il prossimo passo sarà cercare di arrivare loro davanti, usando sempre l'umiltà e lo spirito di sacrificio come strumenti».
L'ultima stagione da dilettante ti aveva visto spadroneggiare, dall'alto di una piena maturità atletica e mentale. Passare a 25 anni ti ha aiutato nell'adattamento?
«No, no. Il salto all'inizio l'ho accusato anch'io. Il ritmo in salita è di quelli che se non ci sei un po' abituato fa male, così come l'andatura negli ultimi 30 chilometri quando sei sempre sopra i 50 all'ora. Non parliamo poi di quando si devono prendere le salite davanti... una guerra! All'inizio è davvero un casino, ci si deve abituare».
Il tuo che «rodaggio» è stato?
«Per fortuna all'inizio sono stato dirottato su corse di seconda fascia, dove ho potuto adattarmi con un po' di più gradualità alle novità e dove i tecnici della squadra hanno potuto apprezzare le mie doti e i miglioramenti che facevo, fino a "promuovermi" in prima squadra».
Il che ha voluto dire cimentarti in corse più impegnative e con una concorrenza più qualificata.
«Certo, ma è stato gratificante, anche perché da luglio in poi ho sempre avuto un'ottima condizione. Ho fatto il Giro d'Austria e su un percorso duro e con squadre Pro Tour presenti ho capito che potevo stare davanti con i migliori in salita, ottenendo un 5° e un 9° posto e chiudendo 16° in generale: per il morale è stato molto importante».
Poi alla Coppa Agostoni per poco non facevi il colpaccio...
«Eh, sono stato ripreso a 400 metri dall'arrivo ma anche lì è stato un altro passetto avanti nell'acquisizione di consapevolezza nei miei mezzi in quanto mi sono trovato ad essere davanti in un momento chiave. Il vero rimpianto del 2013 è stato un altro...»
Zitto, zitto: lasciaci provare ad indovinare: la caduta al Giro di Lombardia?
«Esatto. Quello è stato il giorno in cui mi sono sentito meglio in tutta la stagione. In salita non sentivo la catena, sul muro di Sormano ho scollinato fra i primi dieci. Stavo da Dio, poi però sono scivolato in discesa e addio sogni di gloria. Con i se e con i ma non si fa nulla, ma visto come stavo è assai probabile che un buon piazzamento lo avrei potuto ottenere».
Chiusa la stagione cosa hai fatto fino ad oggi?
«Nelle due settimane successive al Beghelli, ultima gara del 2013 (13 ottobre, ndr), ho progressivamente diminuito le uscite in bici e poi mi sono concesso una settimana di assoluto relax sul Mar Rosso, a Mars Alam, con la mia fidanzata. Ora vado in palestra e alterno uscite in mtb e bici e il sabato e la domenica mi dedico ad escursioni scialpinistiche con i miei amici».
Hai già un abbozzo di programma della prossima stagione?
«La prossima settimana c'è un mini-ritiro a Cesenatico con la squadra proprio per parlare di questo».
Ma Savio qualcosa ti avrà anticipato, visto tra l'altro che con le partenze di Pellizzotti e Felline tu diventi un elemento su cui puntare...
«Savio ed Ellena (l'altro ds dell'Androni) qualcosa mi hanno anticipato al telefono. Vorrebbero farmi iniziare a metà gennaio in Argentina col Tour de S.Louis e poi farmi fare tutto il calendario italiano per arrivare al top al Giro d'Italia.
Potresti essere tu l'uomo di classifica dell'Androni?
«Guardando alle caratteristiche dei miei compagni, che sono cacciatori di tappe più che fondisti, e alle mie, sì. Se farò il Giro, il mio intento sarà quello di curare la classifica, ma non ho mai fatto una corsa a tappe di tre settimane, quindi sarà più che altro un banco di prova per verificare se oltre ad essere un atleta di fondo posso essere anche un uomo in grado di far classifica».
La caparbietà e la predisposizione alla fatica di certo non ti fanno difetto, quindi sei già a buon punto.
«Quelle non mi sono mai mancate e sono aumentate dopo l'infortunio: avrò pure perso due anni per quella frattura, ma in cambio - con tutte quelle che ho passato - ho ottenuto la capacità di non spaventarmi davanti alle difficoltà e alle sfide».

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