Attentato in Bangladesh I nomi delle 9 vittime italiane

La Farnesina informa che i connazionali deceduti nell’attacco terroristico di questa notte a Dacca sono Adele Puglisi (catanese), Marco Tondat (di Cordovado, Pordenone), Claudia Maria D’Antona (piemontese, moglie di Gian Galeazzo Boschetti, l’imprenditore sopravvissuto), Nadia Benedetti (di Viterbo, managing director della StudioTex Limited), Vincenzo D’Allestro, la bergamasca Maria Riboli, Cristian Rossi (friulano di Tavagnacco), Claudio Cappelli (Monza) e Simona Monti.

Simona Monti, aveva 33 anni ed era di Magliano Sabina (Rieti). Da circa un anno e mezzo era in Bangladesh per lavoro.

Un altro cittadino italiano manca ancora all’appello dopo l’attentato. «Per ora non risulta tra i cadaveri identificati all’obitorio militare di Dacca», ha riferito il ministro Paolo Gentiloni. «Le vittime sono una ventina e questa persona non c’è. Può essere che sia tra i feriti o che sia irreperibile. Ci lavoreremo. Siamo in contatto con i familiari».

Simona Monti doveva rimanere a Magliano Sabino, il paese dove vivono i suoi familiari, per un anno, in aspettativa, perché da alcune settimane aveva appreso di essere incinta.
La circostanza è stata confermata dal fratello, sacerdote della diocesi di Avellino giunto da poco a Magliano.

Maria Riboli era nata il 3 settembre 1982 ad Alzano Lombardo. Originaria di Borgo di Terzo, in valle Cavallina, dopo il matrimonio si era trasferita a Solza, nell’Isola bergamasca. Era mamma di una bambina di tre anni.
A quanto si è appreso, Maria Riboli lavorava nel settore dell’abbigliamento e si trovava in viaggio per lavoro per conto di un’impresa tessile. Da qualche settimana era in Bangladesh.
Ieri sera si trovava all’Holey Artisan Bakery seduta a un tavolino con alcune persone, quando sarebbe stata uccisa da una granata, lanciata da uno dei terroristi islamici.

L’imprenditore Claudio Cappelli, 45 enne residente a Vedano al Lambro (Monza), era noto fra gli italiani di Dacca: «Eravamo rimasti d’accordo che ci saremmo rivisti al suo ritorno dal Bangladesh, ci eravamo conosciuti lo scorso 14 giugno in un incontro al Consolato generale del Paese asiatico a Milano in cui gli imprenditori italiani avevano illustrato le loro esperienze nello stato che rappresento. Era entusiasta del suo lavoro»: così, sotto choc, il console generale onorario del Bangladesh in Veneto, l’avvocato Gianalberto Scarpa Basteri.
«A Milano il consolato generale si occupa di tutto quanto riguarda il Nord Italia e per questo mi ricordo il dott. Cappelli che aveva una impresa nel settore tessile che produceva t-shirt, magliette, abbigliamento in genere e anche intimo - spiega Scarpa Basteri -. Diceva di avere avuto una esperienza positiva e di essere contentissimo. Era da più di 5 anni impegnato in questa avventura. Era entusiasta e diceva che era un Paese dove si poteva lavorare molto bene».
«Non riesco a capire come sia potuto capitare l’attentato - dice il console onorario - il quartiere di Gulshan dove si trova il caffè è pieno di ambasciate e sedi legali delle grandi aziende del Bangladesh. Vi sono posti di blocco e si può entrare solo con il pass. È, o meglio era, un quartiere tranquillo e sicuro come i due quartieri attigui Banani e Baridhara. Sono stupito dell’attentato».

Claudia Maria D’Antona, la vittima torinese nell’attacco terroristico, aveva 56 anni e si era laureata in giurisprudenza all’Università del capoluogo piemontese. Ma da molti anni viveva in Oriente - raccontano alcuni amici di gioventù - prima in India dove aveva avviato un’attività di imprenditrice nel comparto tessile, e poi a Dacca, dove era titolare dell’azienda Fedo trading con il marito, Giovanni Boschetti, l’uomo che è riuscito a sfuggire ai terroristi scappando dal locale.
«Era tornata qualche anno fa a Torino partecipando ad una rimpatriata tra amici dell’università», racconta un ex compagno di studi.
Claudia, come volontaria della Croce Verde, era stata tra i primi soccorritori all’incendio del cinema Statuto, il 13 febbraio 1983 a Torino, e tre anni prima aveva fatto parte delle squadre di soccorso alle popolazioni terremotate nell’Irpinia devastata dal sisma dell’autunno ‘80.

«Un gran lavoratore, estremamente preciso e competente. Pronto a trovare sempre il lato positivo delle cose»: così che gli ex colleghi ricordano Cristian Rossi, l’imprenditore friulano ucciso nell’attacco.
Per anni aveva lavorato per la Bernardi come buyer proprio in Bangladesh, dove aveva il compito di comprare la merce e seguire i fornitori. E proprio grazie all’esperienza maturata, quando il gruppo tessile friulano aveva cessato l’attività, si era messo in proprio avviando con un collega un’attività di importazione di capi di abbigliamento realizzati nelle fabbriche di Dacca per conto di aziende italiane del settore tessile.

«Era una persona di spirito, anche nei momenti più difficili riusciva sempre a fare la battuta per sdrammatizzare le situazioni e fare gruppo», lo ricorda il segretario provinciale della Filcams Cgil di Udine, Francesco Buonopane, che aveva avuto modo di conoscerlo durante i delicati momenti della vertenza sindacale della Bernardi. «Il nostro cordoglio va a tutte le vittime del terrorismo e ancor di più alla famiglia Rossi a cui rivolgiamo un ideale abbraccio».

«È una famiglia distrutta» quella di Cristian Rossi, che abitava a Feletto Umberto in comune di Tavagnacco (Udine). Il sindaco di Tavagnacco, Gianluca Maiarelli, ha espresso il suo cordoglio ai familiari con una telefonata dopo che si è diffusa l’ufficialità della notizia, esprimendo «la vicinanza dell’amministrazione comunale e la disponibilità a mettersi a disposizione per qualunque tipo di esigenza possa avere la famiglia in questi giorni».
Non si conosce ancora l’iter per il rimpatrio delle salme. In occasione dei funerali, l’amministrazione pensa già di «proclamare il lutto cittadino». La famiglia ha chiesto riservatezza, in particolare per proteggere le due bambine, le due gemelline di 3 anni, ignare della morte del papà.

«Stiamo vivendo un dolore immenso», ha affermato Fabio Tondat, fratello di Marco, l’imprenditore di 39 anni ucciso a Dacca, aggiungendo che «la Farnesina ha chiamato mezz’ora fa per ufficializzare il decesso». Marco Tondat era nato a Spilimbergo (Pordenone), ma viveva a Cordovado.
«Ci eravamo sentiti ieri mattina - ha riferito il fratello - doveva rientrare in Italia per le ferie e abbiamo concordato alcune cose, lo aspettavo per lunedì. Era un bravo ragazzo, intraprendente e con tanta voglia di vivere». Il fratello di Tondat ha quindi detto che Marco «era partito un anno fa, perchè in Italia ci sono molte difficoltà di lavoro e ha provato ad emigrare. A Dacca era supervisore di un’azienda tessile, sembrava felice di questa opportunità. A tutti voglio dire che quanto accaduto deve far riflettere: non è mancato per un incidente stradale. Non si può morire così a 39 anni».

Stava per rientrare a casa Adele Puglisi, manager per il controllo della qualità per la Artsana. Probabilmente la cena a cui ha partecipato era per salutare una sua amica, Nadia Benedetti, anche lei uccisa dai terroristi, prima di partire dal Bangladesh per la Sicilia.
Il suo rientro a Catania era previsto tra stasera e domani, e suo fratello e i suoi amici si stavano organizzando per accoglierla.

«La vedevamo 20 giorni l’anno, era sempre in giro per il mondo per il suo lavoro», dice un vicino di casa. Non era sposata e non aveva figli. Abitava in un antico palazzo di una stretta via nello storico rione del Fortino a Catania, dove sarebbe dovuta ritornare nei prossimi giorni.
Accanto alla sua c’è la casa di suo fratello, che vive però a Punta Secca, la frazione di Santa Croce di Camerina, nel Ragusano, diventata famosa perchè tra le location del ‘Commissario Montalbanò. Nel Palazzo non c’è un citofono e i cognomi quasi illeggibili sono scritti su una tavoletta di legno.«Era una donna riservata e cortese - afferma affacciato da un balcone un dirimpettaio - la conoscevo da anni, ma qui c’era sempre poco: stava alcuni giorni e poi ripartiva, era sempre impegnata all’estero per lavoro».

 

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