Ambiente / Il libro

Angelo Pangrazio: "Convivere con il lupo si può, in una montagna viva"

Parla l'autore del volume "Lupi a Nordest. Antiche paure, nuovi conflitti" dedicato al ritorno del grande carnivoro sulle Alpi. "Trento è la Provincia che più di altri ha aiutato gli allevatori. Fermare l'avanzata del selvatico non è possibile"

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di Paolo Micheletto

TRENTO. La convivenza con il lupo? Non solo è possibile. Ma è necessaria. Tornare indietro, a quando il lupo aveva abbandonato le Alpi, non è possibile.

Il giornalista Angelo Pangrazio ha dato alle stampe il libro «Lupi a Nordest. Antiche paure, nuovi conflitti» (Cierre edizioni), frutto di «dieci anni di lavoro» e «della curiosità per un fenomeno ecologico ed ambientale nuovo, il ritorno nel nostro territorio di una specie così importante, che non si vedeva da oltre un secolo».

Lei ha dato voce alle proteste degli allevatori ma nella prefazione Mauro Varotto parla di «opportunità per una nuova visione della natura». Un punto di equilibrio è possibile?

Ho cercato di fare un viaggio, in un lavoro giornalistico e narrativo che tiene comunque conto delle conoscenze scientifiche, dal Veneto al Friuli Venezia Giulia, passando per il Trentino e l'Alto Adige. Il ritorno del lupo rappresenta, oltre a una novità biologica importante, anche un problema serio per gli allevatori, che non erano più abituati a difendersi dai predatori.

Le proteste, in questi anni, non sono mancate.

Le ho raccolte nel libro: molti allevatori sono rimasti spiazzati e in molti casi lasciati soli. Penso che tracciare la strada della convivenza non sia facile, ci vorrà del tempo, soprattutto per le malghe con i bovini e le greggi che si muovono sui territori. Le istituzioni devono dare una mano: c'è chi lo ha fatto meglio - come i tecnici della Provincia di Trento, abituati a gestire la convivenza con l'orso - e chi in modo ancora insufficiente, come la Regione Veneto.

Ma come se ne esce?

Con un punto di equilibrio tra la presenza antropica - e quindi gli allevamenti di montagna - e la presenza del lupo. Sbaglia e si illude chi pensa di tornare ai secoli scorsi, quando si piazzavano le trappole e si sparava ai lupi, che poi venivano esposti nelle piazze. Certamente bisogna impegnarsi, perché chi lavora con gli animali domestici va aiutato.

Però non ci si può limitare al rimborso economico.

Infatti le Province autonome di Trento e di Bolzano ma anche altre regioni stanziano indennizzi per i capi predati, ai quali vanno aggiunti altri fondi, anche a carattere europeo, per le reti elettrificate e altri sistemi di dissuasione. Credo che questi strumenti vadano rinforzati.

Dove ha incontrato l'ostilità maggiore alla presenza del lupo?

In Lessinia e in Alto Adige, dove molti allevatori dicono: io questo problema non l'avevo, adesso ce l'ho ma tocca alle istituzioni risolverlo, non devo essere io a montare la rete o a rinchiudere la notte e mettere al sicuro i vitelli e le manze giovani.

Nel suo libro ricorda i cartelli anti lupo degli allevatori altoatesini.

Sì, e scrivo delle proteste a Bolzano e del raduno del 2019 a Vipiteno all'insegna del «Nein zum wolf», no al lupo. Ma bisogna rendersi conto di alcune cose importanti.

Quali?

Che il lupo non è tornato per mangiare le pecore. È tornato perché è aumentata in modo esponenziale la popolazione di ungulati e di conseguenza i branchi di lupi hanno trovato cibo in abbondanza. E poi in tutte le Alpi si è dilatata la superficie boscata, anche a causa dell'abbandono della montagna.

Nel libro scrive dei box abitativi portati in quota dalla Provincia di Trento con l'elicottero, destinati ad accogliere i pastori.

Una buona soluzione: in questo modo i pastori restano accanto alle loro greggi, se c'è la presenza umana i lupi se ne stanno alla larga. Questo è un altro messaggio del libro: dobbiamo tornare a presidiare e a vivere la montagna, pure pagando giovani pastori disponibili a vivere in alpeggio e a curare gli allevamenti. Il concetto di selvatico sta avanzando, come dimostra anche l'arrivo dello sciacallo dorato, della lince, del gatto selvatico. Occorre allargare le nostre conoscenze scientifiche e in questo senso è importante il contributo della Fondazione Mach di San Michele, del Muse e dell'Eurac di Bolzano.

Ma lei esclude ogni intervento di selezione?

Io credo che si possa arrivare anche a soluzioni di contenimento, ma con una premessa: siamo davanti ad una ricolonizzazione che non è ancora conclusa. Due anni fa la Provincia autonoma di Trento segnalava la presenza di 17 branchi, che sono diventati 26 nel Rapporto pubblicato pochi giorni fa. Dove arriveremo? Non lo sappiamo ancora, anche se va detto che il lupo non è il cinghiale e sa "regolare" la sua presenza sul territorio.

Eppure tutto è iniziato con una storia d'amore.

Sì. La prima luce rossa sul lupo si accende in Trentino, nel 2006. La segnalazione della probabile presenza del carnivoro arriva dai cacciatori nella riserva di Varena, in Val di Fiemme. Ma lei fa riferimento a Giulietta e a Slavc.

Ci vuole ricordare la loro storia?

È la fine del 2011 quando la famiglia che gestisce il rifugio al Branchetto, sopra Bosco Chiesanuova, in Lessinia, al mattino trova una capra predata. La stessa sorte tocca nei giorni successivi ad altri animali. Per capire cosa sta accadendo, viene piazzata sull'antenna del rifugio una telecamera che immortala la lupa, che sarà chiamata Giulietta.

Che poi trova compagnia.

Nel maggio 2012 arriva Slavc, un lupo di cui si sa tutto: era stato radiocollarato in Slovenia, dove intraprese il percorso di oltre mille chilometri che lo porterà in Lessinia dopo essere stato in Austria, in Alto Adige, ad Asiago. Si è così formata la prima coppia e, nel 2013, il primo branco del Nordest. In dieci anni gli oltre trenta lupi figliati dalla coppia alfa, andati in dispersione, sono stati fondamentali per ricolonizzare l'intero Nordest.

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