Trento, attentato alla facoltà di Scienze Il direttore del Laboratorio di Crittografia: «Nulla a che fare con guerra e militari»

di Matteo Lunelli

«Perché noi? Non ne ho la minima idea, non riesco proprio a capirlo». A parlare è Massimiliano Sala, direttore di Cryptolab, il Laboratorio di Matematica Industriale e Crittografia del dipartimento di Matematica colpito la scorsa notte con un attacco incendiario. Il professore, uno dei massimi esperti a livello europeo di crittografia, è appena atterrato a Bergamo, di ritorno da Malta. 

«Ho ricevuto decine di telefonate, messaggi, email di solidarietà. So pochi dettagli sull'accaduto, di certo siete più informati voi, ma ora torno a Trento per capire. Di sicuro non mi capacito dell'accaduto e sono contento che nessuno sia rimasto ferito o peggio: di solito ci sono almeno sei o sette studenti che studiano in quella stanza. Computer, stampanti e tutto il materiale distrutto lo si ricomprerà, spero che gli studenti non vengano spaventati da questo episodio».

Torniamo al punto centrale: la matrice anarchica appare assodata e il riferimento alla guerra è chiaro nella scritta esterna. Quale può essere il collegamento in tal senso, fermo restando, ovviamente, la condanna al gesto violento.

«Mi piacerebbe saperlo. La storia delle crittografia, l'uso di codici segreti, è storicamente legato anche alla difesa, fin dai tempi di Giulio Cesare. Ma noi facciamo usi civili delle nostre ricerche e conoscenze. Lavoriamo soprattutto sulla sicurezza nei pagamenti, sulle criptovalute come il bitcoin, sulla privacy degli utenti da adottare nelle app. Le banche e i sistemi bancari sono il nostro target principale: parliamo di difesa dei dati e delle informazioni, non di ministeri della difesa o servizi segreti».

Sul sito dell'Università, nella presentazione del vostro laboratorio, c'è una slide dove si parla di «knowledge transfer», ovvero trasferimento di conoscenza, e si menzionano appunto le banche, ma anche enti militari e governativi, come il ministero della difesa e Telsy, l'azienda che si occupa di sicurezza anche in campo militare. 

«Sì, ma guardate la slide precedente a quella: si parla di formazione e di corsi che organizziamo. La gente paga per parteciparvi perché è interessata, ma non si tratta di nulla di segreto e non si trattano temi da intelligence. Sono semplici lezioni sulla crittografia, che possono essere utili anche a chi lavora in determinati ambiti». 

Ma il vostro lavoro, ovvero la conoscenza che create con la ricerca, la vendete? Si tratta di normali operazioni nelle quali qualcuno compra un qualcosa e ne fa l'uso che preferisce? 

«Noi non siamo un'azienda: l'Università fa attività per conto terzi, con le banche soprattutto ma anche con la Provincia. Con l'ente pubblico, ad esempio, abbiamo fatto una consulenza per le tessere sanitarie, una sorta di codici di emergenza per chi la smarrisce. E con queste attività paghiamo chi lavora con noi. Ci sono 15 persone già laureate più una decina di laureandi in matematica. Ma tutto questo è pubblico, è sotto la luce del sole».

E nemmeno con Stati esteri, come ipotizzato da un'agenzia stampa ieri mattina, ci sono dei rapporti concreti?

«Decisamente no, non abbiamo mai lavorato con l'estero, se non con una banca che ha sede in Svizzera e con un'altra agenzia che si occupa di finanza. Ma non c'è nulla di segreto, si tratta di rapporti scientifici o di formazione alla luce del sole, visto che siamo un ente pubblico. E poi i codici che studiamo sono diversissimi rispetto a quelli per uso militare».

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