Grande Guerra: una storia a 100 anni dalla fine/7

Grande Guerra: una storia a 100 anni dalla fine/7

di Luigi Sardi

Il giornale “Il Risveglio Austriaco” di mercoledì 30 ottobre si presenta con il titolo “Il crepuscolo degli dei” e con frasi che lasciano interdetti i pochi lettori – soprattutto militari – (il giornale era bilingue, ndr) che si preparavano a lasciare Trento. “Tra dolori senza pari nasce un nuovo mondo… il mondo di domani deve essere assolutamente diverso da quello d’oggi. Vecchi e potenti imperi si sfasciano. Il gigantesco impero russo è distrutto. La vecchia Austria si scioglie e tutte le sue nazioni, ora divise, si chiudono in un proprio Stato. L’Ungheria si stacca da Vienna. Dalla Germania si staccano polacchi, danesi, lorenesi, persino alsaziani tedeschi. Tutte le nazioni reclamano il diritto all’autodeterminazione. Cambia la carta geografica del mondo”. Da Vienna arrivano notizie tempestose; c’è stata una grandiosa dimostrazione per la pace davanti al ministero della guerra, le bandiere rosse garriscono sulle fabbriche di armi, davvero stava cambiando un mondo dopo anni di dolori indicibili, privazioni supreme, lutti enormi. Chissà come rimasero i trentini che, per tradizione, erano devoti alla Chiesa, avevano venerato Francesco Giuseppe, onorato Carlo, il nuovo imperatore che si era trovato nel tardo autunno del 1916 a gestire un impero in mezzo ad una guerra devastante. Ecco la notizia che è stato fondato lo stato iugoslavo, che Croazia, Slovenia, Dalmazia “si considerano da oggi 29 ottobre, stati indipendenti dall’Austria e dall’Ungheria”.

A Trento domina la fame, l’incertezza è diventata paura. I soldati stanno abbandonando le caserme, si intuisce che arriveranno gli italiani, non si sa cosa succederà e qualcuno comincia a nascondere i ritratti dell’Imperatore, le bandiere austriache, le medaglie al valore conquistate dalla Galizia al Carso, dal fiume San al Piave. I forni del pane restano chiusi e intanto a Villa Giusti dove è stata trasferita la delegazione dei parlamentari austriaci, si comincia a parlare di pace. Ma lentamente perché a Serravalle si sta preparando l’attacco per arrivare e Trento, visto che nessun soldato italiano è entrato nelle due città – appunto Trento e Trieste – simbolo di quella guerra atroce. Gli italiani vogliono la pace. Ma vittoriosa.

Davvero sono le ultime ore del grande Impero. Tutti gli ungheresi hanno lasciato il fronte e compagnie formate da cechi e ruteni hanno deposto gli ufficiali di lingua tedesca e, inalberando coccarde con i colori delle loro future bandiere, marciano verso le nuove patrie. Gli ufficiali di lingua tedesca furono oggetto di scherno, anche di percosse. Ma non avvennero gli episodi che nel 1917 caratterizzarono il fronte russo dove i soldati inquadrati dai soviet, uccisero quegli ufficiali che tentavano di arrestare la ritirata dei reparti che avevano deciso, sotto il segno della bandiera rossa, di lasciare il fronte. Oltre il Piave è una fiumana di uomini che esce da mille camminamenti, percorre sentieri, strade, attraversa campi e boschi inseguita dal tiro delle artiglierie italiane, dalle squadriglie di aerei italiani e inglesi che volando raso terra, mitragliano e bombardano, dalla cavalleria, dagli Arditi che uccidono anche se orami si è alla vigilia della pace. Nei comandi italiani si ripeteva che “era arrivato il momento di volare su Trento – e in quelle ore non si pensò di “volare” su Trento e sul Brennero – ma nessuno si voleva muovere, prende un’iniziativa, ordinare l’attacco finale.

A Innsbruck i soldati prendono parte alle dimostrazioni popolari e spalancano i magazzini di vestiario e derrate; un battaglione del Terzo reggimento Dragoni diretto a Rovereto abbandona la tradotta ferma alla stazione di Bolzano e si incammina verso il Brennero e sempre a Bolzano si diffonde la notizia della richiesta di armistizio mentre i soldati abbandonano le caserme, le armi, le divise. Eppure il Regio Esercito è ancora nelle ridotte a sud di Serravalle e nel profondo delle retrovie i comandanti discutono su come e quando attaccare.

In verità la prudenza non era mai troppa dopo i tremendi quanti inutili bagni di sangue delle famose spallate ordinate da Luigi Cadorna, nome che ancora non è stato cancellato da vie, piazze, stazioni. Nome che richiama inutili stragi di italiani spinti avanti in quelle che sono passate alla storia come le spallate del Carso, sanguinose quanto inutili. Si sapeva che il Trentino era fortemente presidiato da truppe arroccate in munitissime postazioni fortificate. Quelle truppe avrebbero potuto opporre una forte, forse insuperabile resistenza perché si sapeva che le armate austriache, pur decimate, erano allenate alla guerra, soprattutto erano fortemente motivate: difendevano la loro Patria sul suolo della loro Patria. Come era accaduto sul Piave, meglio “sulla Piave” come si diceva all’epoca, per gli italiani che difendendo il Veneto difendevano l’Italia.

Ma quello austriaco non è un esercito che si ritira; sono nuovi popoli che lasciano il fronte in quel ripiegamento che segna la fine della Grande Austria. Sono popoli che si urtano ormai pieni di odio nella babele delle lingue. Su quella massa di uomini incombe la fame. E così si abbattono cavalli e muli mentre il Servizio Informazioni Militari del Regio Esercito apprende che si stanno sgomberando i forti attorno a Riva del Garda. Tullio Marchetti era salito sulla vetta dell’Altissimo e “mediante un potete cannocchiale” come si legge nei suoi scritti, aveva visto sulla strada che costeggia il lago di Toblino un intenso movimento di uomini e cariaggi diretti a Vezzano e volute di fumo ad indicare che baraccamenti e depositi erano stati incendiati. E’ a questo punto che il generale Guglielmo Pecori Giraldi convoca Marchetti, si consulta con i suoi ufficiali, interroga se stesso e si rivolge al Comando Supremo. Che finalmente decide senza, così pare, avvertire il Governo. Armando Diaz ordina l’attacco frontale in Vallagarina. La situazione militare e politica “consigliava qualunque ardimento… ordinava l’occupazione delle prime linee austriache”: Diaz comandava di predisporre ogni cosa in modo di avere le truppe pronte a scattare in avanti”. L’avanzata dove avvenire all’alba del 2 novembre, dunque 5 giorni dopo l’arrivo nelle line del Regio Esercito di Kamillo Ruggera, l’uomo che aveva portato agli italiani la resta dell’Austria. Quanti soldati morirono inutilmente, ammesso che in guerra ci sia una morte “utile”, in quei 5 giorni d’attesa?

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