Quelle lunghe serate a guardare le diapositive

di Lucio Gardin

Tra le cose venute a mancare da quando siamo posseduti dalla tecnologia ci sono le serate di diapositive. Quei “bei” momenti che prendevano forma dopocena (prima dell’invenzione delle barzellette) dove si proiettavano le foto sul muro della sala.

Il primo passo era togliere i quadri dalla parete. E lì, tutti scoprivano il colore precedente della stanza, perché sotto i quadri compariva una forma geometrica identica al quadro ma di colore diverso. Poi si stendeva un lenzuolo bianco a mo’ di schermo, legandolo da un lato a un’applique a muro e dall’altro alla porticina di un mobile (che poi si apriva facendo cadere tutto). A quel punto si spegneva la luce, il proiettore iniziava a fare “zzzzz”, le diapositive a fare “t-clock”, e iniziava il patimento.

Per bene che avessi cenato, avevi sempre il rimpianto di non essere rimasto a casa tua. Le peggiori serate erano quelle sui matrimoni, perché nelle foto delle vacanze bene o male qualcuna in costume ti capitava di vederla, ma ai matrimoni era una serie di sconosciuti ubriachi... «questo l’è el nonno de me zio», «questo l’è el cognà de me sorela», «questa l’è la Marisa che l’era cascada nella vasca del fertilizzante per ciapar el bouquet», «qua el nonno l’è restà serà nel bagno e è vegnù i pompieri a daverzerlo». E a ogni “t-clock” tutti pensavano «finirà anca i parenti prima o dopo».

Non è un caso che nel 1985, il diritto internazionale bellico ha incluso le serate di diapositive al pari delle armi chimiche. Prima delle dia c’erano gli album fotografici; che di bello avevano che potevi sfogliarli alla velocità che preferivi. Nel mio caso saltavo dalla prima all’ultima pagina dicendo «però, belle!» e passavo l’album a quello a fianco. Oggi, album e dia sono solo un ricordo.

Grazie a Facebook possiamo vedere tutti i matrimoni del mondo stando comodamente a casa nostra. Certo, non sono le foto professionali di una volta, ma per la durata media dei matrimoni oggi, è sufficiente la polaroid.

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