Ecco le tre priorità  del nuovo Parlamento

Per una ricostruzione dell'Italia che dia un futuro alle giovani generazioni, servono essenzialmente stabilità e credibilità politica, le quali purtroppo risultano incerte nel voto di oggi. Una pessima campagna elettorale, fra le più brutte in assoluto, non ha certo aiutato a dare indicazioni di programmi e a rassicurare i cittadini prima di tutto, ma anche l'Europa di cui siamo parte, e a cui siamo indissolubilmente intrecciati. Starà agli elettori dar prova di maggiore responsabilità di quella dimostrata dai politici in queste settimane, ma potremmo dire in tutti questi anni. Va fatto non certo per loro, ma per il futuro dei nostri figli

di Pierangelo Giovanetti

Il nuovo Parlamento che oggi e domani andremo ad eleggere, sarà chiamato ad affrontare alcune scelte fondamentali per l'Italia dei prossimi anni. Molte sono le emergenze nazionali e i ritardi accumulati in 20 anni di immobilità politica e mancanza di decisioni, specie di lungo respiro. Comunque vadano le elezioni, confidando si riesca ad esprimere governabilità e non solo protesta, tre sono le priorità che dovranno caratterizzare fin da subito la XVII Legislatura.


La prima riguarda il profondo distacco, che ormai è diventato rabbia e pericolosa sfiducia nella democrazia e nelle istituzioni, tra cittadini e propri rappresentanti eletti, tra il Paese reale e la sua classe politica. Tanti fra i leader e le forze politiche hanno sottovalutato la lacerazione avvenuta, l'indignazione generale, il disgusto e la collera di fronte al persistere di ruberie e irritanti privilegi a favore della casta mentre il Paese era chiamato a tirare la cinghia. Ma ciò che ha più fatto infuriare è che non si è nemmeno iniziato a cambiare rotta, a dare cenni di ravvedimento, a compiere gesti simbolici di tagli.


Chiunque vada al governo sarà chiamato a imprimere segnali forti, chiari e immediati in tale direzione. Innanzitutto riformando la porcata della legge elettorale, che impedisce di scegliere i propri rappresentanti e di renderli quindi responsabili verso chi li elegge. Se quello uscente è stato il peggior parlamento della storia della Repubblica, con il più alto numero di inquisiti e di condannati, dediti a fare la cresta su tutto e concentrati solo ad intascarsi i rimborsi elettorali, lo si deve anche ai meccanismi di una legge elettorale fatta per privare il cittadino della sua sovranità. E la riforma elettorale va realizzata subito, non a fine legislatura, perché significa altrimenti non farla mai.


Insieme alla cancellazione del «Porcellum», rapida emanazione dovranno trovare interventi radicali «simbolo» sulle spese della politica e sui costi improduttivi delle istituzioni: un taglio serio al finanziamento dei partiti, la riduzione dei parlamentari, l'abolizione delle province, la diversificazione dei compiti delle due camere, il contenimento dei vitalizi e delle indennità di deputati e senatori, ma anche di ogni altro rappresentante istituzionale. E poi subito leggi severe contro la corruzione, il falso in bilancio, le facili prescrizioni, e il nodo cruciale del conflitto d'interessi su cui poggia il corrompimento generale della politica, e il «libera-tutti» che ne consegue. Tutto ciò non sarà risolutivo per le sorti dei conti pubblici, ma è essenziale per tentare di ricucire il distacco impressionante che oggi separa gli italiani da chi li governa e li rappresenta in parlamento.


La seconda priorità (che per moltissimi italiani è la prima) riguarda il lavoro e la crescita. La cura da cavallo attuata dai professori nell'anno che ha salvato l'Italia dalla bancarotta sta dando i suoi frutti, visto che la Commissione europea venerdì scorso ha riconosciuti gli sforzi fatti e ha promosso il nostro Paese, mettendo fine alla procedura di deficit eccessivo iniziata nel 2009. Questo vuol dire che stiamo per uscire dal regime di «sorvegliati speciali» da parte di Bruxelles e, pur continuando a mantenere i conti in ordine, è possibile pensare a margini di flessibilità maggiori per il nostro bilancio pubblico. Tradotto significa che ora è fattibile, dopo il necessario rigore, passare alla fase della crescita, orientando le politiche economiche e fiscali a obiettivi di sviluppo, occupazione e inclusione sociale. A ciò si aggiunge il pacchetto di misure per gli «investimenti sociali» adottato proprio pochi giorni fa dalla Commissione europea che ora finalmente mette nelle condizioni di abbassare il costo del lavoro, riducendo i contributi a carico delle imprese e dei neoassunti.


Le condizioni per ripartire ora ci sono: quello che occorre però dopo le elezioni è un governo serio, credibile, europeista, che sappia garantire i partner europei e gli investitori internazionali sul proseguimento del percorso di riforme strutturali avviate in Italia e di consolidamento del bilancio. Già di per sé, peraltro, la stabilità politica e la volontà riformatrice di governo sono fattori economici fondamentali per il Paese. Legati a questi, infatti, c'è il famoso spread, che misura l'affidabilità dello Stato italiano e quindi determina i tassi d'interesse che paghiamo sul nostro debito. A seconda se questo sale o scende rischiamo di dover pagare anche 30 miliardi di euro in più l'anno di interessi, cioè un valore di gran lunga superiore a quanto abbiamo pagato complessivamente per l'Imu. La vera restituzione dell'Imu è quindi quella di non far salire lo spread, portando il cittadino a pagare meno tasse aggiuntive per far fronte al costo degli interessi sul debito.


Inoltre, se sale lo spread, automaticamente cresce anche il costo del denaro anche per i cittadini e le imprese. E ciò vuol dire difficoltà a trovare il credito a valori accettabili per i privati, caricando gli investitori interni ed esteri di un ulteriore fardello, con il risultato di rallentare o bloccare investimenti, assunzioni, acquisto di macchinari. A dimostrazione di quanto sia determinante per l'Italia lo sforzo di controllare lo spread.


Tutto questo, però, richiede il perseguimento della terza priorità che dovrà innervare l'intera legislatura che nasce con il voto di oggi, ma anche quelle successive. E cioè il varo di profonde riforme di sistema che rimuovano gli ostacoli che tengono imprigionate le risorse migliori che l'Italia ha ancora al suo interno. È qui che si misurerà il coraggio, la capacità, la lungimiranza o meno della maggioranza che uscirà dalle urne.

 

Dalla riduzione dei tempi della giustizia civile alla sburocratizzazione dell'amministrazione pubblica, dalle liberalizzazioni che agevolano il cittadino alla riduzione del pubblico nell'economia, alla dismissione di partecipazioni pubbliche o di beni malutilizzati, gli ambiti di interventi profondi e non più rimandabili sono molti e urgenti. Ma anche riforme strutturali per un migliore accesso ai servizi sociali, coniugando sicurezza sociale con flessibilità, riduzione delle diseguaglianze dei redditi e della ricchezza nel Paese con aumento della produttività e migliore qualità della spesa pubblica, che probabilmente dovrà passare da tagli mirati e funzionali a più consone riorganizzazioni. Compreso nei settori sensibili della sanità e dell'università.


Per questo, però, per una ricostruzione dell'Italia che dia un futuro alle giovani generazioni, servono essenzialmente stabilità e credibilità politica, le quali purtroppo risultano incerte nel voto di oggi. Una pessima campagna elettorale, fra le più brutte in assoluto, non ha certo aiutato a dare indicazioni di programmi e a rassicurare i cittadini prima di tutto, ma anche l'Europa di cui siamo parte, e a cui siamo indissolubilmente intrecciati. Starà agli elettori dar prova di maggiore responsabilità di quella dimostrata dai politici in queste settimane, ma potremmo dire in tutti questi anni. Va fatto non certo per loro, ma per il futuro dei nostri figli.

 

p.giovanetti@ladige.it
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