Donne al lavoro? No, meglio a casa

di Renzo Gubert

Tra i punti programmatici annunciati dal presidente del Consiglio dimissionario, Mario Monti, ve n'è uno che fa sorgere a me interrogativi, quello di abbassare il costo fiscale dell'assunzione al lavoro di donne. Probabile ricondurne la motivazione nella ripetuta osservazione, soprattutto da parte europea, della minore quota in Italia, rispetto alla più parte di paesi europei, di donne che si pongono sul mercato del lavoro. Ho già avuto più volte modo di evidenziare quello che a me sembra un risvolto ideologico, di stampo vetero-femminista, del considerare negativamente la decisione di molte donne di dedicare il loro tempo in prevalenza alla famiglia, al coniuge, ai figli, a genitori o altri familiari bisognosi di cura, anziché di porsi sul mercato del lavoro, delegando il lavoro educativo e di cura a istituzioni quali asili nido o case di riposo o a istituzioni residenziali sanitarie per anziani. Non si capisce, in sintesi, perché un lavoro (educativo, di cura) sia autorealizzativo per la donna se svolto come dipendente e invece sia mortificante se svolto per familiari. Semmai da proporre sarebbe che almeno una parte del denaro che la collettività risparmia per il lavoro educativo e di cura dei familiari sia data alla stessa donna (o anche, se del caso, peraltro raro, all'uomo), per rendere economicamente meno gravosa economicamente tale scelta. Il «pacchetto famiglia», a suo tempo realizzato, con grande difficoltà dalla Regione (assessore Pino Morandini) andava in tale direzione, ma fu poi quasi del tutto smantellato.
Ma vi sono altre considerazioni da fare. L'attuale presidente del Consiglio Monti segnala anche la necessità per l'Italia che le donne facciano più figli. Gli effetti negativi dei bassissimi tassi di natalità italiani, del tutto insufficienti a mantenere stabile la popolazione italiana, sono ormai evidenti ai più. La questione su cui riflettere è se incentivando le donne a porsi sul mercato del lavoro tramite agevolazioni fiscali all'impresa, si favorisca o meno una più alta natalità. Per un verso si potrebbe pensare di sì. Le imprese possono stentare ad assumere donne per i più alti costi (per lo più indiretti) provocati dai congedi per maternità. Non sono rari i casi nei quali la donna non mette nel conto di poter avere un figlio o promette di non metterlo in conto per evitare reazioni negative del datore di lavoro. L'agevolazione fiscale potrebbe attenuare i costi per l'imprenditore di dover provvedere alla sostituzione di una dipendente in maternità. Se questo fosse l'obiettivo, ovvio, però, che altra e più selettiva dovrebbe essere la misura: un trasferimento di denaro all'impresa, sotto forma di detrazione o credito di imposta, solo per le donne in maternità. Oltretutto sarebbe assai più efficace. Evidente, quindi, che non è questo l'obiettivo della proposta fatta propria da Monti, che riguarda tutte le donne. Per altro verso, più si incoraggiano le donne a lavorare fuori casa, più difficile diventa per esse pensare ad avere un ulteriore figlio, dopo il primo. E quindi l'inverno demografico si farebbe più rigido.
Quali conseguenze potrebbe allora avere la proposta Monti? Una è quella che, rendendo più conveniente assumere donne, vengano assunti meno uomini. È un bene? Il vetero-femminismo direbbe che del lavoro educativo e di cura in famiglia se ne occupino gli uomini, riequilibrando così la divisione del lavoro fra uomini e donne. Già in parte ciò accade, specie quando è la donna ad avere un lavoro migliore, più stabile e redditizio. V'è da chiedersi se, nell'attuale situazione italiana, sia meglio avere più disoccupati e meno disoccupate. Credo che le conseguenze sociali della disoccupazione maschile siano più gravi di quella femminile. Era una regola delle società tradizionali la priorità al lavoro dei capifamiglia. Tutto sbagliato? È scomparsa dalla legislazione, con la riforma del diritto di famiglia degli anni Settanta, la figura del capofamiglia unico, il marito-padre, ma è scomparsa nella realtà sociale e culturale? Nonostante tutte le insistenti prese di posizione a favore da circa un secolo, la divisione paritaria dei compiti in famiglia tra uomo e donna si è realizzata? Unanime la constatazione che non si è realizzata. «Forzarla» con misure fiscali come quella proposta da Monti, che vuole più uomini «casalinghi», è saggio? O sarebbe più saggio prendere atto della resistenza pressoché universale di una certa specializzazione dei ruoli familiari? Del resto tra i mammiferi la cura dei piccoli è essenzialmente un ruolo della madre. Vedere per credere, per chi non ha visto mai e non crede. È utile negare l'esistenza di una base «etologica» nei comportamenti umani? Troppi studi seri la confermano.
Forse meno ideologia vetero-femminista, della quale è intrisa l'Europa che conta, quella «progressista» nei costumi, farebbe bene al paese. Che Monti se ne sia fatto paladino dispiace, segnala una subordinazione culturale.
Renzo Gubert
Già senatore della Repubblica

comments powered by Disqus