Timbravano, poi a casa Custodi forestali nei guai

di Sergio Damiani

Il cartellino li registrava come presenti al lavoro, in realtà spesso i dipendenti erano a casa loro. E così due custodi forestali del Comune di Castel Ivano sono finiti in un mare di guai. Le accuse contestate dalla procura sono pesanti: truffa all’ente pubblico, peculato e false attestazioni nell’uso del badge (cioè violazione dell’articolo 55 quinquies del decreto legislativo 165 del 2001).

Le indagini sarebbero partite dalla segnalazione di un residente che aveva notato la costante presenza dell’auto di servizio di un custode forestale sotto casa, in orari in cui il dipendente pubblico avrebbe dovuto essere in servizio. Il Comune - all’epoca guidato da un commissario perché era in corso la fusione tra Spera, Strigno e Villa Agnedo - aveva inoltrato la segnalazione alle competenti autorità.

Così l’anno scorso sono iniziati gli accertamenti delegati alla Guardia di finanza di Trento. Per mesi gli investigatori hanno monitorato da lontano il dipendente verificando i suoi spostamenti durante gli orari di lavoro. Questi timbrava il cartellino alle otto e prelevava l’auto di servizio del Comune. Il turno finiva alle 14 con una strisciata del badge e la riconsegna del mezzo.

A giudicare dalla corposa quantità di atti depositati dalla procura, le indagini sono state meticolose. Per circa cinque mesi, da marzo ad agosto 2016, il custode forestale è stato monitorato con tecniche tradizionali (pedinamenti e foto), ma anche con nuove tecnologie (come l’uso di un Gps che consentiva di seguire in remoto i movimenti dell’auto di servizio).

Sarà la magistratura a stabilire se ci troviamo di fronte ad un “furbetto del cartellino”. Di certo il custode non era uno stakanovista: le indagini avrebbero rilevato prolungate soste al bar. Ma l’aspetto più rilevante sarebbero i rientri a casa in orario di lavoro. Molto spesso a mezzogiorno o poco prima l’uomo si fermava presso la sua abitazione. Aveva l’accortezza di parcheggiare in un luogo in cui l’auto di servizio era poco visibile.

Questo perché secondo l’accusa l’uomo si sarebbe fermato a casa a lungo, sin quasi alle 14, ora in cui tornava a timbrare il cartellino. In questo modo un notevole numero di ore indicate come lavorate (si parla del 20% circa del totale) sarebbero state retribuite dall’amministrazione anche se il dipendente in realtà era a casa sua.
Il custode forestale, a cui nelle settimane scorse il pm Pasquale Profiti ha inviato l’avviso di conclusione delle indagini, ha scelto di  non affrontare la difficile battaglia giudiziaria. Ha preferito presentare le dimissioni, risarcire l’amministrazione con qualche migliaio di euro e chiedere di patteggiare la pena.

Nel frattempo, però, durante le indagini gli investigatori della Guardia di finanza hanno scoperto un secondo caso di sospetto assenteismo. L’indagato è un altro dipendente del Comune, anche lui con mansioni di custode forestale,  a cui vengono contestate accuse analoghe. Ancora una volta nel mirino sono finite le prolungate soste a casa, ma anche i tragitti in auto che hanno portato l’indagato  fuori dalle sue aree di competenza. In questo caso però il custode forestale contesta decisamente le accuse. Sostiene che le soste a casa erano “lavorative”: visto che non gli era stato assegnato dal Comune un proprio spazio, era costretto a svolgere le incombenze d’ufficio a casa. Avrebbe fatto addirittura più ore del previsto. Inoltre i percorsi che toccavano altri comuni erano comunque funzionali a raggiungere le sue zone di competenza. In questo caso dunque è probabile che la battaglia giudiziaria ci sarà.

La vicenda, ovviamente, ha fatto parecchio scalpore in Valsugana. Il sindaco Alberto Vesco mantiene un comprensibile riserbo: «Ci siamo attivati per tutelare l’amministrazione in attesa che l’indagine della magistratura faccia il suo corso». Il riferimento, probabilmente, è ai procedimenti disciplinari  avviati nei casi di sospetto assenteismo. Il rischio per i dipendenti è il licenziamento. Naturalmente si tratta di accuse ancora tutte da provare, ma sin d’ora l’inchiesta dimostra come anche in Trentino è aperta la caccia a chi usa il cartellino in modo disinvolto e, talvolta, illegale.

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