Strigno, profughi e accoglienza

Moussa Traoré ha 23 anni. In Italia è arrivato il 29 giugno dello scorso anno. Due giorni in mare. Con tanti altri si è imbarcato, sotto la minaccia delle armi, su un gommone a Zouara, in Libia, vicino al confine con la Tunisia. Da alcuni mesi, assieme ad altri cinque ragazzi, è ospitato presso la canonica di Strigno. Sbarcato in Calabria, il suo destino lo ha portato in Trentino. Prima a Marco, poi in Valsugana. Originario della Costa d’Avorio. «Sono nato ad Alépé - racconta - ma a causa della guerra, nel 2003, i miei genitori sono andati in Mali».

Cresciuto dal nonno materno a Modeste, in Costa d’Avorio, a Grand Bassam ha iniziato gli studi, terminati nel 2006 in Mali. «Ho un certificato di idoneità professionale di elettricista, ma non ho  ,mai praticato». Una storia, la sua, tutta da raccontare.

Dopo il colpo di stato del 22 marzo 2012, a Bamako è stato reclutato con la complicità del movimento di BBH Mali - Bouyan ba Hawi (in lingua Sonrhaï significa «piuttosto la morte che la vergogna») per rafforzare l’esercito per la liberazione del Mali. «Ad aprile ho iniziato l’addestramento e ad agosto un tenente del campo è stato arrestato. Il suo nome era Ibrahim Maiga». Alcuni giorni dopo anche il presidente del movimento Diouara Mamadou è stato rapito rapito e il campo di addestramento militare assaltato da un commando pesantemente armato proveniente da Kati (periferia di Bamako).

«C’erano più di 400 persone. Molti sono riusciti a fuggire - prosegue il racconto - e siamo stati accusati di essere al soldo di Soumaila Cisse, oppositore del capitano Amadou Sanogo, che aveva fatto il colpo di stato. Ricercato come un avversario e in pericolo di morte ho dovuto fuggire».

Dal Mali, Moussa passa in Algeria dove arriva il 20 novembre. Precisamente ad Adrar, in una zona chiamata Binescoute tra i Tuareg. «Qui ho passato un anno e due mesi. Non è stato facile perché siamo stati spesso molestati dai Tuareg e le loro maniere, in generale, erano inaccettabili: non potevamo indossare pantaloncini o canotta. Ci avevano proibito di fare sport e sovente si presentavano per prendere i nostri soldi. Non potevamo difenderci. La polizia non interveniva e diceva che si trattava di problemi che riguardavano i maliani».

Come tante altre case, anche la sua abitazione era gestita dai Tuareg. Poi, in seguito all’omicidio di un maliano, la polizia, in accordo con i Tuareg, lo ha obbligato ad andarsene. «Così, dopo quattordici mesi di lavoro precario ho lasciato l’Algeria. Era l’1 febbraio del 2014 e sono arrivato in Libia. Qui, un padrone mi ha offerto un lavoro di tre mesi al posto di uno dei suoi lavoratori, tornato in Ciad per un qualche tempo. Al ritorno di quest’ultimo, il padrone avrebbe dovuto portarmi a Tripoli ma, lungo la strada, riceve una telefonata che gli dice che a Tripoli c’è la guerra».

Da quel momento Moussa Traoré si trova senza nessuna prospettiva. Il padrone si rifiuta di pagarlo e gli dice di salire su un furgone che lo conduce a un edificio in rovina. «Qui - conclude Moussa - mi ritrovo con molte persone provenienti da diversi paesi africani. E pochi giorni dopo, su un gommone, arrivo in Italia. Ora sono a Strigno dove ho trovato una bellissima ospitalità». La sua è la storia di tantissimi altri profughi. A Strigno sta imparando l’italiano e ha fatto amicizia con diverse persone. Da qui vuole ripartire per costruirsi un futuro. Lontano dalla guerra, dall’odio e dalla paura.

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