Da Rovereto in Ucraina a 21 anni per combattere tra le fila dei separatisti russi

di Claudio Chiarani

«Io sono sempre italiano, ce l'ho nel cuore, ma preferisco stare con un popolo forte come i russi». Il giudizio è senza appello. Le parole sono di un soldato, impegnato sul fronte russo in Ucraina, una delle guerre meno raccontate e più crude di questi tempi.

Un foreign fighter, come si dice oggi. Un mercenario, si sarebbe detto un tempo. Uno che lascia il suo Paese per combattere in un esercito che non è il suo. Il volto è quello, acerbo, di un ventunenne roveretano. Alessandro Bertolini. Uno come tanti. Scuola, vita sportiva, amici, famiglia che gli vuol bene e a cui lui vuol bene. Eppure ora è là. A trovarlo e a intervistarlo, sul fronte del Donbass, è stata la giornalista Valentina Petrini per la trasmissone «Nemo», andata in onda su Raidue mercoledì sera. Un servizio in cui il giovane lagarino ha potuto raccontare non tanto chi è, quanto perché è laggiù a rischiare la vita in una guerra non sua. 

Per raggiungerlo la giornalista è partita all'alba, elmetto in testa, giubbotto antiproiettile e dita incrociate. Perché laggiù si spara sul serio. C'è da avere paura. Eppure quando ha raggiunto Alessandro lui aveva tutto tranne che l'aria di chi è angosciato. Parlava come chi si sente al proprio posto. Ha mostrato la sua arma, un Ak47. Ha spiegato che si deve stare immobili, quando si spara. Ha appoggiato un proiettile in piedi sull'arma, ha trattenuto il fiato e premuto il grilletto: «Quando spari, non devi farlo cadere». Poi ha mostrato le altre armi. Il bazooka, la maschera antigas, i fumogeni. 

A guardarlo ci si chiede, soprattutto, perché. Perché uno che ha l'età giusta per divertirsi è là, in mimetica, a mostrare gli stemmi dell'esercito russo e a rischiare la vita. Ma è lui stesso a spiegarlo. «Questo per me è un sogno che ho fin da piccolo. Ho provato a entrare nell'esercito italiano, ma non mi hanno dato mai spazio. Ho capito che non ero io, che il sistema è sbagliato, se sei un giovane ti chiudono le porte in faccia».

L'idea di arruolarsi fuori dai confini, gli è venuta, ha spiegato, in Australia. È lì che ha trovato i contatti giusti: «Ero in Australia, lavoravo, mi piaceva. Ma non avevo un traguardo. Dicevo: prima o poi mi tocca tornare in Italia». Ha scelto di partire. E da che parte stare. Perché anche questo non è un dettaglio: il fronte russo non è quello sostenuto dall'Ue, che alla Russia ha imposto sanzioni, proprio per il conflitto ucraino. «Non mi sono svegliato la mattina - spiega - ho cercato molto, tramite le pagine russe su internet ho trovato un contatto. Sapevo che altri italiani erano qui, ho detto: si può fare».

Quel che emerge dalle sue parole è che dettagli come Italia, Russia, fronti opposti, geopolitica, non gli interessano. Lui è lì perché quello è il mestiere che vuol imparare: «Non è stato facile, non sapendo la lingua. Adesso penso che quel che voglio qui posso farlo, posso specializzarmi sempre di più».

Spiega che alcuni, da Donbass, sono stati mandati in Siria. E alla domanda se lui sarebbe pronto, ad andare laggiù per l'esercito russo, la risposta è secca: «Certamente». Perché l'Europa l'ha deluso: «L'Europa la vedo sempre più allo sfascio. Lavoro precario, instabilità. L'immigrazione che sta avvenendo in Europa non è una cosa buona. Aiutare le persone è giusto, ma l'immigrazione incontrollata prima o poi finisce nel caos». Fino al giudizio lapidario: «Se l'Italia fosse una nazione forte, attaccata alla terra sarei lì. Io sono sempre italiano, ce l'ho nel cuore, ma preferisco stare con un popolo forte come i russi. Mi chiamano fratello».

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