Ambiente / Opere

Terreni inquinati della Sloi, chiesto il sequestro preventivo (servono per i cantieri Tav, ma come si farà la bonifica?)

Un comitato di associazioni ambientaliste si rivolge con un esposto alla Procura: i veleni sotto la ex fabbrica sono pericolosi, e «le Ferrovie hanno sottovalutato il progetto, i danni che comporterebbe e i costi della bonifica, 350 milioni di euro»

TRENTO. I terreni inquinati ex Sloi e Carbochimica, visti i piani di Rfi, dovrebbero essere posti sotto sequestro preventivo, perché sussiste un motivo di reale pericolo pubblico. Questo chiedono, in un esposto alla Procura, alcune delle associazioni contrarie al progetto di circonvallazione ferroviaria, tra cui Lega Ambiente, WWF, Montain Weldness, Gruppo 11 domande, comitato No Tav. Ma l'atto è sottoscritto anche da esponenti di forze politiche e dalla Lista Europa Verde Trento.

Lo avevano annunciato, adesso lo hanno fatto davvero: l'azione - che è politica, oltre che giudiziaria - sarà presentata oggi. Ma già ora i dettagli dell'esposto sono trapelati. E partono da un concetto di fondo: non serve aspettare l'avvio delle ruspe, per sapere che ci sarà un danno.

Basta leggere il progetto di Italferr, in combinato disposto con le norme e con gli atti prescrittivi di cui la storia dei terreni inquinati è costellata, per sapere cosa accadrà. E quel che accadrà è che «una vota iniziati i lavori, gli eventi che si manifesteranno rientreranno nella fattispecie introdotte dalla legge 68/2015, nel titolo VI bis, i cosiddetti "delitti contro l'ambiente"».

Da qui la richiesta delle associazioni, assistite dagli avvocati Marco Cianci e Vanni Ceola, di intervento preventivo dell'ufficio inquirente. Ma su quali basi?

Stante la certezza che i terreni ex Sloi ed ex Carbochimica sono inquinati e altrettanto può dirsi delle rogge, 4 i profili su cui i firmatari contestano la pericolosità dell'opera e della gestione del cantiere: i lavori interferiranno con la bonifica delle rogge, Rfi avrebbe consapevolmente sottovalutato in termini di quantità il problema della gestione del materiale inquinato; la tecnica del capping, immaginata per mettere in sicurezza l'area Sloi e usarla come deposito sarebbe inadeguato e pericoloso, lo stoccaggio provvisorio del materiale inquinato così come immaginato da Rfi non sarebbe tale da garantire la sicurezza pubblica. Le rogge. È noto, dovrebbero già essere iniziati i lavori per la loro bonifica. Ma non è andata così: tutto è bloccato, tra gli altri motivi, perché la falda è più alta del previsto.

Questo, si evidenzia nell'esposto, significa che la bonifica non potrà essere conclusa nel luglio 2022, quando inizieranno i lavori per il bypass. Da qui l'interferenza, di cui Rfi - le si contesta - era consapevole.

Il materiale di scavo. È quello che verrà estratto dall'ex Carbochimica per permettere il raddoppio in trincea della linea. Rfi calcola si tratti di 48 mila metri cubi di materiale, di cui si calcola di mandare in discarica speciale non più di 9.300 mc inquinati. Secondo gli attivisti, si dovrà avere a che fare con 78 mila metri cubi tutti inquinati. Che non è la stessa cosa. Inoltre le associazioni ritengono pressoché certo che lo scavo - come accade ad ogni cantiere dell'area - si riempia d'acqua della falda superficiale, che diventerebbe a sua volta inquinata. E Rfi non ne tiene conto.

Stoccaggio provvisorio all'ex Sloi. Qui Rfi prevede di stoccare il materiale di scavo della galleria, prima di inviarlo ai siti definitivi. Il problema si fa notare nell'esposto, è che là sotto c'è piombo tetraetile (ne bastano pochi milligrammi per uccidere un uomo), tra le altre cose. E ce ne sono molte tonnellate, per il momento «isolate» dalla falda acquifera dell’Adige da uno strato argilloso. A bloccare tutto in un equilibrio quasi stabile è, in sostanza, una lente d'argilla. Ed è il motivo per cui in oltre 40 anni non si è mai scavato per asportare il materiale velenoso: in un intervento analogo, in Germania, si provò e si dovette fermarsi perché lo scavo peggiorava la situazione. E ci sono solo due casi al mondo, come quello di Trento: quello tedesco, e uno negli Stati Uniti, in una ex base militare nel deserto. Ma solo a Trento i veleni del piombo sono a pochi metri da una falda acquifera che alimenta il bacino del fiume Adige, da qui fino a Rovigo ed al mare. E in prossimità di una città.

Rfi prevede di tutelare quell'equilibrio con un capping. Ovvero «incapsulando» i terreni inquinati, ricoprendo l’area con uno strato di terra di riporto. Ma nell'esposto si evidenzia che c'è un forte rischio spugna: che schiacciando, cioè, il materiale là sotto si muova, portando l'inquinamento fuori dall'ex Sloi. E nel fiume Adige, che scorre a meno di 200 metri in linea d’aria.

I costi di bonifica. Rfi - questa la tesi - sottovaluterebbe scientemente il tema dell'inquinamento, perché i costi di una bonifica - secondo gli attivisti 350 milioni di euro, calcolando l'asportazione del terreno per la trincea e del materiale delle rogge - non permetterebbero di realizzare la circonvallazione, per cui sono stati stanziati 900 milioni. Questi gli argomenti, più volte evidenziati a Rfi, che ha sempre contestato il calcolo di rischio. Ecco il motivo dell'esposto e della richiesta di sequestro preventivo.

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