L'Alzheimer si cura con la storia

di Paolo Giacomoni

Il progetto «T-Essere memoria» rappresenta la prima esperienza in Trentino di un progetto avviato dall'Apsp «Margherita Grazioli» di Povo in accordo con la Sovraintendenza per i beni culturali della Provincia, dedicato ai malati di Alzheimer, i cui risultati hanno evidenziato effetti terapeutici sorprendentemente positivi nei soggetti con demenza favorendo e stimolando la loro interazione fisica e la partecipazione attiva. Sperimentato per la prima volta al Moma (Museo d'Arte Moderna di New York) nel 2006 con il progetto «Meet Me at the Moma» è stato poi mutuato anche nel nostro Paese, in particolare nella regione Toscana.


Nella nostra realtà questa inedita sperimentazione ha avuto nei mesi scorsi come protagonisti 13 ospiti della Rsa di Povo coinvolti in un progetto, come è stato dettagliatamente illustrato martedì scorso in un'apposita conferenza stampa, diviso in diversi momenti: una progettazione condivisa dalla responsabile dei servizi educativi dell'ufficio beni archeologici della Provincia Luisa Moser insieme a Roberto Maestri, Alberta Faes e Emanuela Trentini, animatori , fisioterapisti ed educatori presso l'Apsps, quindi l'individuazione dei soggetti con i supporto della neuropsicologa Floriana Luisa Giraudo, sei incontri dell'educatore museale presso la sede dell'Apsp con l'attivazione di laboratori specifici e infine l'uscita presso il Museo della palafitte di Fiavè. «I laboratori di tessitura, di lavorazione dell'argilla della preparazione del burro - ha detto il presidente dell'Apsp Renzo Dori - sono stati momenti molto importanti: tutte le pazienti si sono messe in gioco, hanno saputo riprodurre con estrema facilità e grande attenzione antichi gesti, dimostrando come alcune abilità, quali il saper fare, la manualità e la creatività permangono nonostante la malattia».


L'uscita al Museo della palafitte ha rappresentato il momento conclusivo del percorso: «Uscire dalla propria struttura per andare in un posto nuovo e sconosciuto è stata - a detta dei relatori - un'esperienza stimolante che ha permesso ai partecipanti di mettersi a loro agio, liberi di muoversi, di esprimersi, di toccare, di fare domande e di vedere esaudite le proprie curiosità». Un risultato che, è stato sottolineato nella conferenza stampa, è andato al di la delle più rosee aspettative degli organizzatori. «La pratica dell'interazione con la storia - è stato evidenziato - ha dimostrato una diminuzione dello stress e un miglioramento della qualità delle relazioni, nonché una migliore reattività rispetto alle aree cognitive colpite dalla malattia, le manipolazioni e il coinvolgimento diretto sembrano essere in grado di colpire nel profondo e fornire stimoli intellettuali tanto intensi da far sentire gli effetti positivi anche a breve e medio termine».
In questo contesto, come hanno sottolineato sia Sandro Flaim, dirigente della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia sia Franco Nicolis, direttore dell'Ufficio archeologia della Soprintendenza, assume grande importanza anche il ruolo dei musei: «Anche con questo tipo di sperimentazioni, è dimostrato che la cultura (oltre ai cosiddetti normali), può far bene anche ai malati e comunque rappresentano una grande sfida da accogliere affinché il nostro patrimonio storico e culturale sia effettivamente al servizio di tutta la comunità». Un appello alle famiglie infine, quello lanciato dalla direttrice del «Margherita Grazioli» Mariangela Dossi, affinché le stesse superino quel tabù che le spinge a vergognarsi di avere in casa un malato di Alzheimer: «Un atteggiamento che non solo isola il malato e i suoi familiari, lasciandoli completamente soli, ma non permette loro di usufruire dei mezzi che oggi abbiamo a disposizione per migliorarne la qualità di vita».

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