Spese contestate, i gruppi politici non restituiscono

Tutti i gruppi consiliari cui la Corte dei conti trentina aveva contestato l'utilizzo dei fondi per un totale di 106.000 euro fanno ricorso contro la delibera del 7 maggio 2014 e degli altri atti che avevano rilevato l'irregolarità dei conti di esercizio per il 2013, chiedendone l'annullamento

di Angelo Conte

Tutti i gruppi consiliari cui la Corte dei conti trentina aveva contestato l'utilizzo dei fondi per un totale di 106.000 euro fanno ricorso contro la delibera del 7 maggio 2014 e degli altri atti che avevano rilevato l'irregolarità dei conti di esercizio per il 2013, chiedendone l'annullamento.

 

Il ricorso, presentato dagli avvocati Flavio Maria Bonazza e Roberta de Pretis alla Sezioni unite della Corte dei Conti a Roma, è stato promosso da Amministrare il Trentino con Nerio Giovanazzi, dal gruppo Misto con Mario Magnani, dall'Italia dei Valori con Bruno Firmani, dalla Lega Nord con Alessandro Savoi, dalla Civica per Divina presidente con Claudio Eccher, dal Pd con Luca Zeni, dal Patt con Michele Dallapiccola e, infine, dalla Ual con Luigi Chiocchetti.

consiglio provinciale
Diverse le ragioni sulle quali si basa il ricorso dei gruppi consiliari presenti la scorsa legislatura in Consiglio (esclusi solo Verdi e Upt a cui la Corte dei conti non aveva contestato alcunché sull'uso dei soldi dei gruppi).

Quella maggiormente citata nel ricorso presentato a Roma riguarda il fatto che, a fronte di spese che risultano documentate - questa la tesi sostenuta dai gruppi- la Corte dei conti trentina è andata oltre alle proprie competenze, andando a sindacare nel merito l'aderenza delle spese rispetto alla finalità dell'attività istituzionale. Secondo i legali dei partiti, infatti, la Sezione trentina ha superato i «precisi e invalicabili limiti del controllo esercitato» nel fatto che ha preteso di «sostituirsi ai gruppi in valutazioni squisitamente discrezionali e di merito che competono solamente a questi ultimi».

 

La Corte dei conti trentina, infatti, nella sua censura ai gruppi consiliari considerati aveva eccepito sia il fatto che alcune spese erano rendicontate in maniera non corretta sia, soprattutto, il fatto che le risorse sarebbero state utilizzate per fini diversi da quelli propri dell'attività politica.

Nel ricorso, invece, si sostiene come la sezione trentina «non fornisce alcun elemento dal quale si possa logicamente desumere la non inerenza delle spese esposte e documentate all'attività istituzionale dei singoli gruppi».

 

Insomma, secondo il ricorso, le contestazioni sul modo in cui i gruppi possono spendere i soldi, nel momento in cui si documenta il tutto in maniera corretta, sono da respingere.

In questo caso, in soccorso delle motivazioni del ricorso arriva anche la sentenza di un'altra sezione regionale della Corte dei conti, quella del Piemonte, che su un caso analogo ha di fatto chiarito di non potersi addentrare nel merito delle spese, dovendosi contenere «entro perimetri meramente documentali e contabili». Viene poi contestata anche una presunta violazione del «principio generale del contraddittorio» perché, di fatto, non sarebbe stata data possibilità ai gruppi di avviare a procedura della regolarizzazione, prevista dalla normativa.


A spiegare il senso politico del ricorso è Luca Zeni del Pd: «Essendo norme nuove, con il ricorso si intende cercare di avere per il futuro linee chiare entro cui la politica si possa muovere e sul ruolo che ha la Corte dei conti nei confronti delle spese che si effettuano». E che, con il regolamento del 2013, sono state irregimentate in norme ancora più severe.

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