Femminicidio / Giustizia

Omicidio Perraro, Manfrini fa appello (per evitare l'ergastolo), la sua difesa si infoltisce con un altro avvocato

Era dal 1987 che in Trentino non si pronunciava una sentenza di ergastolo. Per l’accusa il marito ha ucciso la moglie brutalmente a pugni e morsi, i suoi legali tirano fuori di nuovo l’ipotesi di un cane killer

di Nicola Guarnieri

ROVERETO. Colpevole? Forse, ma secondo i suoi avvocati la sentenza della corte d'assise ha degli aspetti poco chiari. Tanto che la difesa ci si è infilata a gamba tesa per cercare di cancellare quel verdetto pesantissimo: ergastolo.

Il protagonista in negativo di questa vicenda è Marco Manfrini che, a luglio, è stato condannato al carcere a vita per l'omicidio della moglie Eleonora Perraro. La pena massima, in Trentino, era stata data prima solo a Roberto Faedo, ritenuto colpevole di avere ammazzato l'amante Loredana Gambaretto. Era il 1987. Dopo nessun imputato ha visto chiudersi per sempre le sbarre dietro la propria esistenza.

Ma a legare i due processi è un reato che solo recentemente - dopo decine di vittime consegnate al dimenticatoio - è stato configurato come femminicidio.

E la società, nel tempo, ha impiegato davvero troppo per leggere tra le pieghe della mente umana la prevaricazione violenta e assassina dell'uomo nei confronti della donna, la «sua» donna. E le virgolette non sono un vezzo ma rimarcano quel concetto di possesso che ormai, da troppo tempo, giustifica la condotta del maschio.

Tornando a Manfrini, nonostante i tentativi della difesa di riportare nel processo un terzo incomodo o, magari, il cane mordace, la corte d'assise di Trento ha ritenuto opportuno riportare in auge l'ergastolo, come detto archiviato nel 1987 quando, però, la procedura penale era un'altra. Nel 2021, 34 anni dopo quindi, l'aula magna del palazzo di giustizia di largo Pigarelli ha estratto dal cilindro qualcosa che sembrava sepolto. E, come detto, ancora una volta per una vittima donna e un carnefice uomo, il marito.

La difesa, in verità, ha provato a giocare tante carte per scardinare l'impianto accusatorio ma non è servito a nulla. Perché la corte d'assise ha ritenuto di imputare l'omicidio del «Sesto Grado» a Marco Manfrini escludendo un terzo uomo e perfino un cane killer. Fin qui il primo grado: spietato, duro, malefico.

Ma c'è un secondo grado in cui la difesa - che nel frattempo si è arricchita di un nuovo avvocato, Luigi Campone - ha in mano un mazzo di carte nuove. Che ha già giocato nel ricorso e che in primavera, quando si celebrerà il nuovo processo, potrebbero trasformarsi in jolly.

Al di là dei colpi a sorpresa - che saranno svelati in aula e che, per anticipare, verteranno su cavilli giuridici - il perno su cui puntano gli avvocati Cainelli e Campone sono le cause della morte e l'animale assassino. Una delle richieste forti, per dirla tutta, è una perizia super partes per stabilire di cosa è morta Eleonora. Strangolamento o coma etilico? É uno dei quesiti che, si chiede ai giudici di secondo grado, dovrà stabilire un perito giurato e non un consulente di parte.

«Noi chiediamo che venga accertata la verità, non un'assoluzione così tanto perché l'imputato è il nostro cliente. - conferma il collegio difensivo - In primo grado si è preso per oro colato quanto ha prodotto il pubblico ministero e questo non va bene».

Le riserve sul momento del trapasso, insomma, sono tante. E non sono dubbi buttati lì a caso perché se, per ipotesi, la povera Eleonora fosse morta per l'eccesso di alcol l'imputazione cambierebbe. Perché, attenzione, stiamo parlando di sbarre fino alla morte e quindi la difesa sta tentando quanto meno di dare una possibilità di libertà futura al proprio assistito.

Al di là di tutto, comunque, rimane la ricostruzione dell'accaduto che, secondo i legali di Manfrini, va affidata ad un perito sopra le parti. E il cane assassino? Altro punto da chiarire: i morsi sul corpo della vittima, sempre per la difesa, sono compatibili con l'aggressione di un cane ma potrebbe essere opera di un altro animale, una volpe, un orso piuttosto che un lupo. Anche in questo caso, quindi, si chiede alla corte d'appello di affidare una perizia.

Perché si tratta di decidere della vita di un uomo che per la corte d'assise è un assassino ma per la difesa e la sua famiglia no. La richiesta, dunque, è di affidare lo studio del caso ad esperti non coinvolti direttamente nella questione. A quel punto, qualunque sarà la sentenza, verrà accettata.

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