Il primario di rianimazione: «La nostra squadra contro lo tsunami»

di Luisa Pizzini

«Ho visto medici, infermieri e Oss lavorare fianco a fianco senza un minimo di tregua. Proprio grazie a questa disponibilità abbiamo potuto far fronte a questo “tsunami” che non ci ha risparmiati». Il dottor Giovanni Pedrotti, direttore dell’unità operativa di anestesia e rianimazione di Rovereto, ha un compito difficile in questi giorni. Guida il reparto del Santa Maria del Carmine che si sta occupando dei pazienti più gravi affetti da coronavirus, ha sotto gli occhi quindi gli effetti più critici dal punto di vista sanitario ma deve anche sostenere la sua “squadra”, che qui in Trentino rappresenta la prima linea in questa difficile battaglia.

Dottor Pedrotti, l’ospedale di Rovereto è la struttura di riferimento per il coronavirus: perché questa scelta?

All’ospedale di Rovereto ci sono i reparti di terapia intensiva (quella che comunemente viene chiamata rianimazione), di medicina alta intensità di cura e di malattie infettive, in grado di trattare i pazienti affetti da CoViD-19 secondo la gravità e le fasi della malattia. Inoltre, l’ospedale di Rovereto ha una vocazione particolare per l’attività elettiva (gli interventi chirurgici programmati) piuttosto che per l’urgenza/emergenza propria dell’ospedale S. Chiara, consentendo in questo modo di garantire in quell’ospedale le attività cardiovascolari, neurochirurgiche e di trauma center, che spesso devono essere svolte anche in regime di urgenza/emergenza e richiedono il trattamento in terapia intensiva.

Come si è organizzato il reparto per questa emergenza?

Ci siamo organizzati “isolando” completamente l’intera sala della rianimazione così da garantire la possibilità di utilizzare tutti i posti letto disponibili per i pazienti CoViD-19 critici. Per questo abbiamo dovuto “rivoluzionare” l’intero reparto predisponendo percorsi specifici “sporco/pulito”, riservando zone di filtro per la vestizione e la svestizione, modificando l’assetto e la destinazione d’uso di alcuni locali e ambulatori. Allo stesso tempo abbiamo potenziato le dotazioni di protezioni individuali secondo le indicazioni degli organismi scientifici internazionali. Abbiamo dovuto intervenire anche modificando alcune attività non essenziali, mi riferisco in particolare al Centro di terapia del dolore, uno dei più importanti della provincia, i cui interventi non sono però strettamente essenziali e hanno perciò priorità inferiore rispetto al trattamento dei pazienti critici.

Come ha reagito il personale? Ne avete a sufficienza o avete dovuto fare degli spostamenti da altre strutture?

Tutto il personale ha reagito in modo esemplare mostrando immediata e completa disponibilità a svolgere qualsiasi attività in qualsiasi momento del giorno e della notte con un coordinamento che ha fatto funzionare tutto efficacemente e senza intoppi. Ho visto medici, infermieri e Oss lavorare fianco a fianco senza un minimo di tregua; fin da subito abbiamo potuto contare su personale della direzione medica, degli uffici e dei servizi tecnici che ci hanno supportato in tutte le operazioni di riconfigurazione del reparto. Proprio grazie a questa disponibilità abbiamo potuto far fronte a questo “tsunami” che non ci ha risparmiati. Certamente l’impatto è stato forte e sappiamo di non poter contare sempre e solo sulla estrema disponibilità delle persone e per questo ci stiamo organizzando per ridefinire i turni di servizio e per identificare le attività meno urgenti che dovremo sacrificare per mettere a disposizione il personale che serve. Dobbiamo però tenere conto che il nostro è un ospedale dotato di un pronto soccorso che tratta moltissime altre patologie oltre all’infezione da coronavirus e per alcune di esse è richiesto il nostro supporto. Dobbiamo essere pronti a far fronte ad eventuali urgenze ostetriche, nel nostro ospedale ci sono più di mille parti all’anno e in qualche caso siamo chiamati ad intervenire in urgenza. Abbiamo però una grande risorsa che è la “rete” degli ospedali della provincia sulla quale sappiamo di poter contare e che in più occasioni ha dimostrato di funzionare; lo ha dimostrato in particolare la rete degli anestesisti-rianimatori il cui lavoro ha consentito di mantenere l’attività chirurgica anche in momenti in cui la difficoltà nel reperire tali professionisti è stata maggiore: su questa rete sappiamo di poter contare anche in questa circostanza.

Dopo aver visto la situazione altrove in queste settimane, i primi due pazienti hanno già fatto capire a medici ed infermieri a cosa siamo di fronte?

Abbiamo subito capito di essere solo all’inizio di una situazione molto critica che richiederà forte impegno, costanza, elevate competenze professionali, forte capacità di adattamento e sicuramente, molto equilibrio psico-fisico. Questi sono pazienti per noi molto impegnativi in cui prevediamo degenze lunghe, che richiedono trattamenti innovativi, abbiamo bisogno di attrezzature con alto contenuto tecnologico e grande disponibilità di materiali di supporto. Avremo bisogno della collaborazione di alcuni reparti come la medicina alta intensità di cura che, nella fase meno critica, potranno e dovranno aiutarci nella prosecuzione del trattamento così da rendere nuovamente disponibili i posti di terapia intensiva per i pazienti più critici.

Seguire le raccomandazioni per evitare il contagio aiuta anche voi. Cosa direbbe a chi non ha ancora capito la portata di questa situazione?

Siamo di fronte ad una malattia che in certi casi si manifesta in forma molto grave, in tale circostanza sono richiesti giorni e giorni di trattamento intensivo (quello che facciamo in rianimazione); è causata da un virus che non conosciamo, di cui la popolazione non ha gli anticorpi, per il quale non esiste un vaccino e contro il quale i comuni farmaci antivirali attualmente in commercio hanno scarsa o nulla efficacia. L’unica arma in nostro possesso è la prevenzione. Purtroppo ancora troppa gente si sposta senza validi motivi e senza le dovute precauzioni, questo favorisce la rapida diffusione della malattia. Non posso che raccomandare il massimo rispetto delle direttive emanate dalle autorità che tengono conto delle indicazioni date da epidemiologi di fama mondiale. Purtroppo ancora oggi, quando la gravità della situazione è palese, qualcuno subordina scelte e comportamenti agli interessi personali. Vorrei richiamare tutti ad un profondo senso di responsabilità che diversamente potrebbe vanificare lo sforzo e il sacrificio di tutti i professionisti impegnati in questa sfida.
Vorrei citare le poche righe che ha scritto un figlio ad una madre e collega che lavora all’ospedale di Parma: “Mia madre non dorme la notte, sono 15 giorni che è costantemente in ospedale. Non esistono weekend, non esistono pause. Torna a casa dopo 12 ore di lavoro e si parla di coronavirus. Non sta due minuti a casa senza ricevere chiamate dall’ospedale. Passa le giornate, e con lei tantissimi colleghi, a pensare a come trovare posti letto in un ospedale straripante di gente. Ci sono persone negli ospedali che stanno sacrificando se stessi, la loro salute e tutte le loro energie per poter risolvere questa emergenza, e voi non avete altruismo sufficiente per rimanere chiusi in casa per qualche settimana. Se non lo fate per voi, fatelo per gli altri!” Credo potrebbero essere le parole che i miei figli o i figli dei miei colleghi medici e infermieri si sono detti nello scorso fine settimana in cui ci hanno visti apparire e rapidamente scomparire da casa.

 

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