Colchicina, 7 casi negli ultimi 3 mesi «Questo è un veleno senza antidoto Non raccogliete erbe, funghi e bacche»

di Luisa Pizzini

La colchicina, composto estratto dalle piante del genere Colchico, ha avvelenato negli ultimi tre mesi e nel nord Italia sette persone oltre a Giuseppe Agodi e Lorenza Frigatti (nella foto), i due coniugi settantenni morti a distanza di pochi giorni dopo aver raccolto e mangiato queste specie velenose a Folgaria, dove erano soliti soggiornare.

Pensavano si trattasse di zafferano, estratto dai fiori molti simili ma appartenenti al genere Crocus. «Per un botanico non c'è possibilità di errore - spiega la dottoressa Donata Favretto - ma per una persona che li raccoglie sì». È stata proprio lei nel laboratorio di tossicologia clinica e forense dell'azienda ospedaliera di Padova a scoprire la causa della morte di Giuseppe Agodi e quindi ad allartare i medici dell'ospedale di Piove di Sacco su quelle che potevano essere le cause delle condizioni della moglie che nel frattempo era stata ricoverata.

«Quando mi sono arrivati i campioni dell'uomo che era deceduto - racconta - abbiamo identificato la colchicina. Per lui era stata disposta l'autopsia, perché prima della morte per arresto cardiaco il 1° settembre aveva manifestato sintomi di intossicazione. Abbiamo verificato se la assumesse come medicinale, perché viene utilizzato per curare la gotta, ed escludendo questo abbiamo capito che poteva aver confuso il Colchico con i fiori dello zafferano».

Un caso praticamente da manuale, per i tossicologi, che però non hanno molte armi per combattere questo veleno. «Purtroppo non esiste un antidoto - svela la dottoressa Favretto - e così quando è stata trovata la colchicina anche nella moglie in ospedale hanno tentato di rimuovere la sostanza tossica dal sangue. L'unico modo è filtrarlo, ma è talmente piccola che è molto difficile». È così che Lorenza Frigatti è morta, diciotto giorni dopo il marito.

«La colchicina è una sostanza che blocca la moltiplicazione delle cellule e se in piccole dosi è tollerata e usata a livello terapeutico, in dosi maggiori uccide le cellule della bocca, quelle dell'apparato gastrointestinale, le mucose dell'occhio e dell'apparato respiratorio, le cellule del sangue». A spiegare gli effetti di questo veleno è il dottor Carlo Locatelli , direttore del Centro nazionale di informazione tossicologica e del Centro antiveleni di Pavia. Sono loro gli esperti che vengono chiamati dagli ospedali di tutt'Italia quando si verifica un'intossicazione. «Sintomi di vomito e nausea dopo aver mangiato qualcosa di sospetto non vanno mai sottovalutati - raccomanda - bisogna correre in ospedale. Nei casi di assunzione di dosi eccessive di farmaci contenenti colchicina si manifestano solitamente nell'arco di mezzora, mentre passano dalle due o quattro ore se la sostanza è contenuta in vegetali».

Anche nel caso del Colchico raccolto a Folgaria il centro di Pavia è stato interpellato: «Ma era troppo tardi, non c'era più nulla da fare». E se non esiste ancora un antidoto contro la colchicina, l'avvelenamento si può combattere facendo informazione secondo i tossicologi: «Serve più informazione, perché ogni anno abbiamo queste brutte sorprese. Queste cose non andrebbero fatte: non bisognerebbe raccogliere funghi, bacche, radici o vegetali. Tutti pensano di conoscerli, ma non è vero. E i casi legati al falso zafferano accadono soprattutto nella vostra regione. Dei sette accaduti negli ultimi tre mesi in buona parte si sono salvati, altri sono ancora in corso e non si può sapere come andranno a finire».

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