Processo sulla truffa dei farmaci Ottanta persone in tribunale

Si è aperto il processo a carico della farmacia De Probizer di Villa Lagarina, nonché a carico di otto medici di famiglia. Un processo che già ora si preannuncia tutto in salita: pesantissime sono le accuse - oltre alla truffa il pm imputa anche il concorso esterno in associazione a delinquere - che tutti gli imputati negano con decisione.

Innumerevoli i fatti contestati, tutti da provare. Risultato: pur enormemente scremata dal presidente del collegio Carlo Ancona, c’è una lista di 80 testi.

Molti di loro sono pazienti, chiamati a ricordare come e se hanno usufruito di prescrizioni ora contestate. Perché il nocciolo della vicenda è questo. Secondo l’accusa dalla farmacia, grazie al contributo dei medici compiacenti, sarebbero partite richieste di rimborso non dovute all’Azienda sanitaria. Un guadagno, cioè, illegittimo. Una tesi che medici e farmacia respingono al mittente: nulla di illecito sarebbe accaduto là dentro.

LE INDAGINI

A ricostruire l’inchiesta è stata la guardia di finanza: «La farmacia di Villa ha chiesto lo svuotamento dei suoi bidoni 40 volte in un anno, tutte le farmacie della Vallagarina insieme 120. Ci è sembrato sospetto».

Da lì la perquisizione in farmacia, nell’ottobre 2014, dove sono state trovate delle cartelle con i nomi dei medici operanti al centro medico «Rovere» (il cui immobile è di proprietà della moglie di De Probizer).

Nelle cartelle in alcuni casi sono stati trovati dei fogli con appiccicate le fustelle dei farmaci, cioè i codici a barre che vengono staccati dalle confezioni e spediti all’azienda sanitaria per il rimborso.

In un caso un medico, su un foglietto, aveva scritto: «Ne ho fatti troppi, faccio la prossima volta», riferendosi ad un paziente. In una cartella è stato trovato un ricettario in bianco di un medico, timbrato e firmato. A quel punto si è fatto un lavoro a ritroso, perché ogni confezione è tracciabile, partendo dai farmaci buttati.

Secondo l’accusa sarebbero stati prescritti a pazienti ignari che, alle Fiamme Gialle, avrebbero negato di aver preso quelle medicine. Oppure avrebbero detto di averne ritirate meno di come invece figura dalle richieste di rimborso.

Ora, in quella fase - siamo nel 2014 - vigeva il doppio binario: sia le ricette cartacee sia quelle elettroniche. Su tutte è stata fatta ua verifica. Secondo gli inquirenti c’era qualche problema al centro Rovere: in alcuni casi a nome di un paziente sarebbero state firmate due ricette, da due medici diversi (i dottori del centro collaboravano e, se necessario, si sostituivano a vicenda, il che è legittimo), per il medesimo farmaco.

Nel caso di tre medici, inoltre, ci sarebbero ricette cartacee firmate mentre i professionisti erano in ferie fuori Provincia. Infine, la partita dei presidi per diabetici. Qui la cosa funziona così: se uno deve curarsi con l’insulina, per esempio, l’azienda sanitaria gli riconosce un tot di aghi, di pungidito e di strisce reattive per il controllo glicemico.

La dotazione è annuale, ma divisa per mese. Secondo gli inquirenti alcuni pazienti avrebbero riferito di non aver ritirato tutti i pungidito né tutti li aghi a propria disposizione. Ma la farmacia avrebbe chiesto il rimborso di tutto quanto, in danno dell’Azienda sanitaria.

LE DIFESE

È presto per capire le tesi difensive: le prime udienze servono per spiegare l’accusa. Ma dalle domande si comprende che si punta sul numero: su 165 mila ricette l’anno, quelle contestate sono un numero minimo. Quanto alle ricette per pazienti defunti si punta sull’errore: non casi di omonimia (è verificato non ve ne siano) ma casi in cui il cognome è identico e il nome differisce per una lettera.

Le ricette elettroniche contestate dipendono dal sistema che, tra il 2013 e il 2014, arrancava, perché in fase di rodaggio. Mentre rispetto alle dichiarazioni dei pazienti, si punta sull’errore i buona fede. Tanto che, come ha sottolineato qualche avvocato, di errori provati ce ne sono.  Gente cioè che ha assicurato di non aver ritirato il farmaco, salvo poi trovarlo a casa e avvisare la guarda di finanza dello sbaglio.

GLI ANTICIPI

Questo sarà un nodo centrale del dibattimento. Perché la legge prevede che, in caso di pazienti con malattie croniche, se il paziente si è dimenticato di chiedere la prescrizione e ha finito i medicinali, la farmacia possa dargliene una confezione, in caso appunto di necessità, ma facendoglielo pagare. Quel farmaco, cioè, non è a carico dell’azienda sanitaria. Allora che si faceva? Si consegnava il farmaco, si tenevano le fustelle, non si faceva pagare nulla al paziente: all’arrivo successivo della ricetta si scaricava tutto. «Una prassi illecita», ha chiarito il pm. E da in fondo all’aula: «Sì ma dov’è il guadagno?». Per tutti ha risposto il giudice: «L’unico che ci guadagna è il paziente, non c’è dubbio».

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