Stupro di Marco, il caso è archiviato

Il giudice: impossibile trovare un colpevole. Stop alle indagini sulla presunta violenza

di Chiara Zomer

Era il 26 luglio scorso quando uno dei peggiori incubi della comunità sembrava essersi avverato. Una giovane mamma di Marco denunciò una violenza sessuale, dicendo un'unica cosa, sul suo aggressore: era straniero. E Marco è a un passo dal campo profughi, in cui in quelle ore erano ospitati - non senza polemica - 72 ospiti. Ce n'era più che abbastanza perché, mentre la procura e le forze dell'ordine facevano in silenzio il loro lavoro, il caso diventasse mediatico prima e politico poi. Anzi il contrario, per la verità. Posto che la notizia, all'epoca, venne ufficializzata da una nota stampa della Provincia. 

Il polverone che si alzò allora è rimasto memorabile, con manifestazioni di protesta davanti al campo profughi, esternazioni più o meno vivaci arrivate da più parti e reciproche accuse politiche. Ora, a distanza di mesi, la procura - silente come sempre è l'ufficio inquirente - ha finito il proprio lavoro. Già nel novembre scorso il procuratore capo Aldo Celentano e il sostituto Valerio Davico avevano chiesto formalmente l'archiviazione del fascicolo contro ignoti, per l'impossibilità di individuare un colpevole, posti i minimi elementi su cui gli inquirenti avevano potuto lavorare. Ieri il giudice per l'udienza preliminare Monica Izzo ha depositato il decreto d'archiviazione. Il caso è ufficialmente chiuso. Quella che resta aperta - ma sarà la procura a valutare se e in che modo muoversi - è la possibilità di iniziare accertamenti in tutt'altra prospettiva. Indagando cioè l'attendibilità della denuncia. 

Restando all'inchiesta penale, e ripulendola dall'emotività con cui il caso è stato seguito fin dalle prime battute, quel che resta è una denuncia senza responsabili. La giovane donna aveva raccontato di essere stata aggredita da dietro, mentre di notte stava portando il cane a fare pipì, e di essere stata scaraventata volto a terra. Per questo non avrebbe visto l'aggressore, che avrebbe iniziato a violentarla allontanandosi pochi istanti più tardi, interrompendo quindi la violenza, perché spaventato da un rumore. 

L'indagine è partita spedita, fin dal giorno dopo. E subito si è concentrata sul campo profughi, anche perché - si disse all'epoca - era necessaria un'identificazione certa di tutti gli ospiti della struttura. A tutti e 72 gli stranieri venne prelevato il dna: un'esame a cui si sono sottoposti volontariamente - non è chiaro se dopo aver capito davvero cosa stesse accadendo - posto che i presupposti per un prelievo coercitivo non c'erano. Dall'altra si è tentato di trovare elementi utili sul teatro dell'aggressione. Sforzi che a nulla sono serviti: l'esame sulla parte civile, arrivato qualche settimana più tardi, non aveva offerto elementi con cui confrontare il dna prelevato dai profughi.

Non poteva esserci corrispondenza, insomma. E non c'erano altri elementi materiali a cui aggrapparsi per ricostruire l'accaduto. Restava il racconto della donna, che però non aiutava a fare passi avanti. La giovane mamma era stata risentita dal procuratore capo Celentano, alla ricerca di particolari utili. Ma lei non fu in grado di aggiungere niente. Ovvia, a quel punto, la richiesta d'archiviazione: nessun angolo buio era stato lasciato, ma non c'erano più piste da percorrere. Un'analisi che lo stesso giudice, nel decreto d'archiviazione, ha mostrato di condividere.

Ora rimane appunto la valutazione di quel racconto. Ma qui si entra su un terreno delicato. I traumi spesso incidono sulla capacità di ricordare i dettagli, la dinamica riportata è compatibile con il racconto. Ora valuterà la procura.

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