Arco / Intervista

La studiosa Maria Luisa Crosina: «I trentini? Mai stati antisemiti»

Oggi, nel Giorno della memoria, per la professoressa il Gonfalone d'argento del Comune di Arco nel corso della cerimonia al cippo che ricorda le deportazioni degli ebrei arcensi. Il monito della ricercatrice: ricordare oggi la Shoah serve anche a tenere presente che certi scenari possono ripresentarsi

LA STORIA Il martirio delle partigiane Ora e Veglia, il ruolo dei soldati trentini arruolati dai nazisti
IL RACCONTO Liliana Manfredi: quel giorno i nazisti sterminarono la mia famiglia, io "graziata" da quel soldato
LA MOSTRA Almeno i nomi (e i volti), in ricordo dei civili trentini deportati nei lager nazisti

di Davide Pivetti

ARCO. Non fosse per lei l'Alto Garda saprebbe ben poco di quanto accadde davvero anche da noi nei giorni più bui del Novecento.

Maria Luisa Crosina ha dedicato decenni della sua vita - ed è ancor oggi attivissima in tal senso - alla ricerca storica, all'indagine conoscitiva, alla verità.

Un lavoro che ha interessato decine di temi di valenza locale e non solo, ma che ha raggiunto uno dei suoi punti più alti proprio nelle ricostruzione della Shoah in chiave altogardesana e arcense in particolare. Grazie al suo immenso lavoro è stato possibile sapere, conoscere e ricostruire la vita, la deportazione, la dolorosa fine di quattro deportati che da Arco finirono ad Auschwitz (tre dei quali senza più tornarne).

Grazie a lei da molti anni proprio ad Arco, tra le aiuole di via Galas, ogni 27 gennaio si svolge una breve e sentita cerimonia al cippo che ricorda proprio le deportazioni arcensi.

Evento che si ripete anche questa volta, sia pur in chiave minore per non provocare assembramenti. Non a caso, proprio in questi giorni, il Comune di Arco ha annunciato il conferimento del "Gonfalone d'argento" alla professoressa Crosina, che le verrà consegnato oggi.

Professoressa, se lo aspettava?

«No, è stata una sorpresa totale, nessun preavviso. L'ho saputo una settimana fa, quando mi ha chiamato Giancarla Tognoni dal municipio per chiedermi la partecipazione  e annunciandomi così una sorpresa poi formalizzata dall'assessore alla cultura Guido Trebo. In generale non mi aspetto mai nulla per il mio lavoro di ricercatrice, lo faccio perché lo sento giusto e devo dire che Arco mi ha sempre ricompensata con tanta vicinanza, rispetto, affetto e attenzione. La stessa che ricevo da parte di tanti amici rivani che mi seguono e mi vogliono bene».

Sulla Shoah però le ricerche di tutti questi anni si sono concentrate su Arco.

«Tante visite guidate a Riva, mi chiamando spesso piccoli gruppi interessati alla storia rivana, ma il grosso degli eventi si è svolto ad Arco e c'è un motivo. Quando ho iniziato a fare queste ricerche mi sono imbattuta in determinati documenti che hanno concentrato l'attenzione su quanto accaduto tra 1943 e 1944 proprio ad Arco. In particolare ho scoperto la figura di Leo Zelikowski che ho incontrato e con il quale si è creato un legame. Così all'inizio degli anni Novanta mi presentai all'allora sindaco Morandi segnalando l'opportunità di ricordare questi ebrei deportati. E abbiamo deciso di realizzare il cippo della memoria».

Ricordiamo quelle quattro figure?

«Leo Zelikowski viveva a Vilnius, in Lituania, era venuto ad Arco perché ammalato di tubercolosi. Eva Has Flatter era una ebrea di Vienna, giornalista, aveva lavorato negli anni Trenta a Merano presso un gioielliere, venne in Italia per avere un visto per l'Inghilterra dove aveva mandato il figlio nel 1938. Viene confinata ad Arco. Gino Tedeschi era originario di Verona, sposato con una signora con cui si era trasferito ad Arco. Arturo Cassin, di Cuneo, era venuto ad Arco come grande invalido della Grande Guerra anche lui per la tubercolosi. Zelikowski, Flatter e Cassin furono arrestati e deportati da Arco il 21 dicembre 1943. Tedeschi il 5 maggio '44».

Arrestati solo perché erano ebrei.

«Esatto. Arco li aiutò in modo eccezionale, per quanto era possibile. Tant'è che quando Leo Zelikowski venne liberato scelse proprio Arco per vivere fino agli anni Novanta, quando poi raggiunse alcuni familiari in Canada».

A Riva nessuno fu deportato?

«Non risulta. C'è però la storia della famiglia Ravenna, originaria di Trieste, nascosta dalla famiglia Tonini (la casa a largo Posta, all'angolo tra viale Carducci e viale Chiesa) perché una figlia dei Tonini aveva sposato un Ravenna ufficiale dell'Esercito italiano. Lì sono stati nascosti suocero, suocera, cognata, che poi si sono salvati scappando in Veneto e lui passò alla resistenza. I due per sposarsi dovettero celebrare il rito di notte all'Inviolata».

Oggi, 27 gennaio, al cippo si ripeterà il commovente momento dei sassolini...

«Sì, nei cimiteri ebrei non si portano fiori, ma sassi da deporre sulle tombe. Il sasso vuol dire memoria imperitura e ricorda l'uso delle sepolture nel deserto per difendere la salma dagli animali selvatici».

A quasi ottant'anni da quei fatti cosa significa ricordare la Shoah?

«Ha senso per gli ebrei e per tutti gli altri. Certi fatti si possono ripetere e non è detto che non si ripetano solo per gli ebrei».

C'è il rischio che si perda davvero la memoria di quanto accadde in quegli anni?

«La storia non sempre insegna soprattutto se non la si ricorda, questo vale per questi eventi ma per ogni altro. Dimentichiamo facilmente quello che è stato.

Molto importante è la memoria dei vecchi - mi metto tra loro - che non va dispersa. Memoria però senza tesi da dimostrare, senza tendenziosità. In questi giorni ho ricevuto un bellissimo messaggio da un giovane: "Sei sempre al di sopra delle parti". Perché bisogna ricordare il male ricevuto, ma anche il bene ricevuto, che quasi sempre ce lo dimentichiamo. Leo Zelikowski mi disse: "Non ho mai odiato, nemmeno nel campo". Un ufficiale della Wehrmacht gli ha regalato dei calzini, per lui erano il simbolo della vita. Lui piangeva ricordando questo atto di bontà».

La Shoah fu anche il frutto di un lungo lavoro di propaganda fatto in anni e luoghi in cui non esisteva una vera pluralità di voci. E oggi?

«La pluralità di voci non è garanzia per evitare distorsioni. Rischiamo molto di più, siamo più disorientati, ci sono molte bugie. Molte voci vengono zittite. O deviate. Non sono ottimista sul destino dell'umanità».

Nella società trentina rileva antisemitismo?

«Non l'ho mai rilevato. Riva poi è luogo estremamente particolare rispetto anche al Trentino. C'è stata una comunità ebraica appoggiata dal principe vescovo Cristoforo Madruzzo dove sono stati stampati libri ebraici mentre altrove venivano distrutti. Un esempio molto forte per la nostra terra. Ho girato nelle scuole dal 1975, nei teatri con David Gerbi per gli spettacoli, non ho mai trovato un atteggiamento antisemita o anti ebraico».

La destra italiana ha fatto i conti con la storia?

«Sì, la politica ha fatto i conti con la storia. C'è qualche testa calda, ma non le identificherei solo con la destra».

Tutto questo interessa ancora i giovani?

«Non bisogna indottrinare nessuno, bisogna spiegare alcune cose. La sensibilità va sollecitata. I giovanissimi, per fortuna, non hanno sovrastrutture».

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