Malattie del sangue, premiato un arcense

di Chiara Turrini

Luca Bertamini voleva, all’inizio, studiare filosofia. E invece è stato per caso, o meglio per una scommessa con se stesso, che il 25enne arcense si è iscritto alla facoltà di Medicina innamorandosi della materia, in particolare dell’ematologia, scienza che studia il sangue e le sue malattie.

Luca aveva scommesso bene, visto che il giovane laureato in Medicina a Verona ha vinto il «Giuseppe Bigi Memorial Award 2017», il premio dell’associazione nata per commemorare Giuseppe Bigi, ricercatore milanese scomparso prematuramente. Ogni anno il riconoscimento, assegnato in collaborazione con l’American Society of Ematology, va ad un promettente giovane ricercatore italiano (studente, dottorando, medico specializzando, post-doc) che stia lavorando nel campo delle cellule staminali e della emopoiesi, ossia il processo di creazione delle cellule del sangue.

Il lavoro di tesi di Luca Bertamini è stato insignito del premio lo scorso 9 dicembre, durante il congresso mondiale dell’American Society of Ematology, massima realtà nel settore.

Bertamini - che è cresciuto tra le vigne di Massone, figlio di Massimo, professore di enologia, e Fiorenza, insegnante di tedesco - è volato così ad Atlanta insieme ai docenti Domenico Girelli (Università di Verona), Giovanni Martinelli e Claudio Franceschi (Università di Bologna) per esporre il proprio studio, insieme ai più celebri luminari dell’ematologia mondiale.

«Una sensazione bellissima trovarsi insieme ai più grandi scienziati - commenta Luca - sono arrivato là con il mio poster, infatti ciascun ricercatore presenta il proprio lavoro su una stampa 70x100 che viene affissa e presentata nel salone principale del congresso, e lo ho affisso insieme agli altri. Una enorme soddisfazione».

Ne ha fatta di strada, Luca, dopo il liceo scientifico «Maffei» di Riva del Garda. «Ho capito che volevo studiare medicina solo dopo aver cominciato a studiarla, a dire il vero - ammette Luca - volevo studiare filosofia. Ora, invece, in medicina, mi appassiona la scientificità della disciplina, e lo scoprire il funzionamento del corpo umano». L’incontro con l’ematologia risale al periodo di studio in Erasmus in Germania, a Colonia. Poi il ritorno in Italia, la scelta di restare in patria mentre tanti colleghi decidono di espatriare e l’approdo nel team di lavoro del professor Giovanni Martinelli, a Bologna. 

Nell’ambito di una ricerca condotta in collaborazione tra le università di Verona e Bologna, il dottor Luca ha evidenziato il nesso tra l’emopoiesi clonale - una condizione ematologia frequente negli anziani - e rischio cardiovascolare, cioè l’infarto, mentre finora il fenomeno era collegato principalmente alle malattie del sangue.

«Mi occupo di ricerca in ematologia su leucemie acute mieloidi e linfoblastiche e di emopoiesi clonare - spiega Bertamini - quest’ultima rappresenta un tema che sta acquisendo sempre più interesse negli ultimi anni non solo in ambito ematologico, perché potrebbe spiegare un nesso finora non chiaro fra invecchiamento e malattie cardiovascolari».

Come si è svolto lo studio?
«Abbiamo studiato i centenari, perché dimostrano che si può invecchiare in salute, sia per gli stili di vita, sia per un substrato genetico. Tuttavia, un’osservazione che il nostro studio sta facendo è che la genetica non è solo ereditata, ma anche influenzata dall’esposizione a fattori ambientali, soprattutto nel sistema emopoietico. Lo sviluppo infatti di mutazioni nelle cellule del sangue aumenta con l’età. Queste mutazioni possono favorire un invecchiamento “non in salute” facendo insorgere malattie cardiovascolari e neoplasie del sangue. Il risultato inatteso del nostro studio è che i centenari quasi non hanno emopoiesi clonale, dimostrando come l’assenza di questo fattore potrebbe aver contribuito alla loro longevità estrema».

Un importante risultato della bistrattata ricerca made in Italy. Cosa significa essere un giovane scienziato in Italia, oggi?
«La mia è una storia particolare, sono fortunato. Tornato dall’Erasmus in Germania ero convinto di voler ripartire per restare a Colonia. E invece prima di organizzare la cosa decisi di provare un’esperienza in collaborazione con l’Università di Bologna, e lì ho incontrato il team del professor Martinelli, così ho scelto di restare. Ma lo scenario generale è abbastanza desolante, bisogna lavorare tanto con poco e ci sono anche limiti strutturali. Le difficoltà maggiori sono tecniche perché bisogna trovare fondi, perché bisogna convincere chi ha i dati a condividerli e a collaborare, e avere la forza di portare avanti un’idea. Io ho un’esperienza limitata, tuttavia nel mio piccolo ho visto che per portare avanti questo progetto ci è voluta molta testardaggine, molta volontà e il credere che dalle idee possa nascere qualcosa di concreto non solo di astratto. Sono stato fortunato perché i gruppi di ricerca dei professori Girelli e Martinelli sono molto all’avanguardia, c’è molta voglia di lavorare e di supportare i giovani. La mia situazione non è la norma e in tanti vanno all’estero»”.

Luca, filosofo mancato con gli hobby della lettura, del calcio e della chitarra, ha trovato la filosofia anche nella medicina.
«La cosa che più mi stimola è osservare qualcosa che prima non era evidente. Mi piace molto il concetto filosofico di “aletheia”, dal greco svelare, per cui la verità è qualcosa che c’è già e che noi scopriamo. È uno svelamento di qualcosa che è sempre stato sotto i nostri occhi e di cui magari abbiamo anche già i dati. Tuttavia la capacità di analizzare quello che veramente quei dati vogliono dire, e quindi desumere una nuova conoscenza, è un atto bellissimo, affascinante. Chi scopre qualcosa è perché riesce a vedere la stessa cosa da un diverso punto di vista».

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