L'uso del collare elettrico anti-abbaio non è sempre «maltrattamento»

di Davide Pivetti

Può far sorridere che si arrivi in tribunale - con tanto di collegio difensivo e massimo esperto milanese interpellato in qualità di perito - per il collare di un cane. Ma il processo che si è tenuto martedì a Rovereto in realtà tocca temi delicati e partiva da un’ipotesi di reato comunque grave, il maltrattamento di animali.

Sul banco degli imputati un rivano che aveva messo al collo del suo setter inglese di 12 anni un collare anti-abbaio pensato per infastidire il cane ogni volta che abbaia, colpendolo con una leggera scossa elettrica.

Tutto è nato dalla segnalazione di un privato, alla quale ha fatto seguito l’azione giudiziaria con l’ipotesi di maltrattamenti per la presenza di alcune ecchimosi e del pelo rarefatto là dove gli elettrodi toccano il corpo dell’animale.

Anche la Cassazione due anni fa si era espressa in casi simili per il maltrattamento, ma sul tema molteplici e variegate sono le espressioni dei tribunali italiani.

Nel caso rivano, però, il cane è stato trovato in buona salute (fisica e psichica) e non c’è prova che quelle ecchimosi fossero dovute al collare elettrico, perchè ne sono spesso segnalate di identiche anche su animali che utilizzano collari normali.

Sul tema il Tribunale aveva affidato una consulenza al professor Daniele Vigo dell’Università di Milano. L’uso saltuario del dispositivo ha ulteriormente alleggerito la posizione dell’accusato (difeso dai penalisti Sara De Luca e Antonio Vana). L'altro giorno in tribunale a Rovereto il giudice Pascucci alla fine ha deciso di derubricare l’ipotesi di reato. Niente maltrattamenti ma «abbandono di animale in stato non consono alle sue esigenze». Il rivano in questo modo se la dovrebbe cavare con il pagamento di una oblazione di circa 80 euro. Se ne riparlerà a giugno quando il processo arriverà a conclusione.

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